Corriere della Sera, 22 settembre 2019
Da "Peccati immortali" di Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone (Mondadori 2019).
Essere immortali è facilissimo. Tutti gli animali ci riescono. Tutti, tranne l’uomo: l’unico che sa che deve morire. Il cardinale Michelangelo Aldrovandi amava compiacersi dei propri pensieri, davanti allo specchio, dopo la messa, mentre si cambiava per andare a donne. E magari fossero state solo donne. Celebrare messa gli era sempre piaciuto. Celebrarla, non dirla. Le omelie lo annoiavano.
Per essere bravo, era bravo: sapeva far piangere, ridere, pensare; e spaventare, se veniva. Ma l’essenza della messa è il gesto, il paramento, la schiena rivolta ai fedeli inginocchiati. Meglio ancora le fedeli, che adoravano quel principe della Chiesa alto, potente, sprezzante; con l’espressione di chi non ha mai passato una notte in un divano letto. I vescovi comunisti che al Concilio avevano girato il celebrante verso la folla, spalle a Dio, non avevano capito niente (uno dei motti con cui il cardinale amava scandalizzare le anime buone era che «i poveri hanno rotto i coglioni»).
Nonostante questo, Michelangelo Aldrovandi era l’unico, tra i capi del fronte conservatore della Chiesa, che fosse riuscito a entrare nelle grazie del Papa. Discendeva da una delle famiglie più ricche di Roma; e l’unica dissipazione cui si era dedicato era quella morale.
Ogni sera, prima di uscire, gettava uno sguardo all’originale della Deposizione di Caravaggio, quella in cui Michelangelo Merisi aveva dato a Nicodemo il volto di Michelangelo Buonarroti. I Michelangelo insomma erano due. Con Aldrovandi, tre. Ogni volta il cardinale rivolgeva un pensiero condiscendente ai trafelati visitatori dei Musei Vaticani, che in tutto quel casino non si sarebbero mai accorti di ammirare una copia. Poi annusava con voluttà il grammo di proteine che la glomerulonefrite, seguita e arginata dai migliori specialisti al mondo, lasciava filtrare nelle sue urine ogni giorno. Quindi convocava Remedios con un grido di richiamo. Sorella Remedios era la ragazza più pura che avesse mai incontrato; e al cardinale la purezza procurava un brivido di perversione.
Ogni volta ricordava a Remedios con tono di rimprovero che non gliel’aveva mai data, vedeva il rossore degli inizi mutarsi in fastidio, diceva a sé stesso che talora esagerava; ma esagerare era il vero lusso che si era preso nella vita.
Remedios lo aiutava a cambiarsi. Il cardinale indossò abiti borghesi, omaggio personale dello stilista di Milano suo storico amico, e uscì alla consueta, generosa ricerca di piacere.