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 2019  settembre 22 Domenica calendario

Su "Peccati immortali" di Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone (Mondadori 2019).

C’è una poesia di Ennio Flaiano che ha immortalato la nomenklatura (e la soprannomenklatura) romana degli anni Sessanta/Settanta. Comincia così: «C’erimo io, Jacovacci e Liliana,/ Manuccia, Brigitte e Flora,/ La Pittata, la Siciliana,/ Fellini, la Ficona e la Mora». E finisce così: «C’era Arbasino, Cagnara, il Bandito,/ Moravia, Pasolini e Culosfranto./ Verso la fine entrorno senza invito /er magnaccia co’ ’n frocio, e fu lo schianto».

In Peccati immortali, il romanzo di fantapolitica in uscita da Mondadori scritto dall’inedita coppia Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone (firme che i lettori del «Corriere della Sera» conoscono bene), c’erino, invece, per riprendere la lista di Flaiano: Fausto e Lella Bertinotti (corrente Comunisti presenzialisti), Ugo Sposetti, Roberto Calderoli, Paolo Romani, Maurizio Gasparri, Pierferdi Casini, Clemente Mastella, Matteo Salvini (ministro dell’Interno costretto alle dimissioni su sollecitazione simultanea del Quirinale e del Papa) e Matteo Renzi (nel romanzo come nella realtà fresco fondatore di un nuovo partito: ormai la fantapolitica è direttamente politica). La nomenclatura, cioè, della Prima, Seconda e Terza Repubblica.

E poi, nella tribuna d’onore dell’Olimpico (gioca la Maggica), c’erino gli habitué: Massimo D’Alema, Pierfrancesco Favino, Claudio Amendola, Sabrina Ferilli (con Flavio Cattaneo), Claudia Gerini, Giovanni Malagò (che ha lasciato il Coni per diventare presidente della Roma), Francesco Totti e Enrico Vanzina in un irresistibile cammeo. Ma soprattutto in quell’altolocato parterre continua a primeggiare, malgrado il figlio sia stato venduto al City per 120 milioni, l’onnipresente mamma di Nicolò Zaniolo.

Vi chiederete: ma nel romanzo fantapolitico di Cazzullo e Roncone si racconta un’Italia in cui sono già scomparsi i grillini? Ovviamente no. Per questo più che un romanzo ci vuole un miracolo. I grillini ci sono eccome. Si sono ribattezzati Popolo dell’Onestà e governano con il Pd (qui la realtà ha anticipato al fotofinish la fantasia di Cazzullo e Roncone) e hanno due leader che una volta erano molto amici e ora si fanno la guerra: il tatuatissimo Dario Gianese (Di Battista, I presume) e il subdolo Andrea Ferro (Di Maio, I suppose). Nello scenario disegnato da Cazzullo e Roncone, contro il Popolo dell’Onestà e il Pd hanno stretto una ferrea alleanza Renzi e Salvini (sotto la direzione d’orchestra di Denis Verdini), decisi a far cadere «l’Azzeccagarbugli terrone», il detestato primo ministro. Ci potrebbe stare.

Scrivere un romanzo sul mondo della politica italiana, fucina di macchinazioni, congiure e tripli giochi, è come portare vasi a Samo (si sarebbe detto una volta) o dementi a Temptation Island Vip (si direbbe oggi). Anche la più fervida, paradossale e spregiudicata fantasia di scrittore stenta a tenere il passo con la barocca creatività degli onorevoli nazionali (nemmeno a uno scrittore potente come Balzac sarebbero mai potuti venire in mente personaggi complessi come i democristiani). Nondimeno Cazzullo e Roncone si sono lanciati coraggiosamente nell’impresa giocandosi l’all-in sin dalla prima riga: «Essere immortali è facilissimo. Tutti gli animali ci riescono. Tutti, tranne l’uomo: l’unico che sa che deve morire». A formulare questo pensiero è il cardinale Michelangelo Aldrovandi mentre, appena celebrata la messa, si cambia nel suo appartamento in Vaticano per andare a donne. «E magari fossero state solo donne». C’è bisogno d’altro per descrivere il personaggio? Forse soltanto la frase preferita di Sua Eminenza: «I poveri hanno rotto i coglioni».

Poche pagine dopo, infrangendo un fondamentale comandamento narrativo (non si elimina mai un personaggio promettente all’inizio della storia), e beandosi di farlo (sono un po’ teppisti i nostri due autori), Cazzullo e Roncone ammazzano a bruciapelo il cardinale. Addosso al cadavere viene trovato un telefonino. Qui i due autori, dopo aver disobbedito ai comandamenti narrativi, ritornano all’ortodossia letteraria e rivolgono un reverente pensiero al maestro Dumas e ai Tre moschettieri. Come funziona lo straordinario romanzo di D’Artagnan & Co. che resiste al tempo e alle mode? Qual è il segreto della sua eternità? Semplicissimo: nei Tre moschettieri si racconta la storia di alcuni diamanti che devono essere recuperati pena la rovina della regina di Francia. Tutto qui. È una caccia al tesoro. Peccati immortali funziona con lo stesso meccanismo. Il telefonino trovato addosso al cardinale contiene fotografie di un’orgia molto hot che potrebbero provocare il finimondo in Vaticano e negli altri palazzi del potere. Il fatto è che intanto il telefonino è sparito. Chi ce l’ha? La caccia al tesoro comincia.

All’inseguimento del telefonino corrono tutti i personaggi di Peccati immortali. E sono personaggi assai pittoreschi.

C’è la bellissima super escort Emmanuelle, figlia di proletari del Pigneto, specializzata in teatrini lesbo, che alla domanda: «Quando hai imparato a usare il frustino?», risponde serafica: «Dopo aver preso il primo stipendio da commessa». C’è la virtuosa e pura Suor Remedios (di una purezza che al cardinale Aldrovandi — ricordandolo da vivo — procurava brividi di perversione), «che somiglia a Penelope Cruz, ma senza il naso un po’ da topo». C’è Padre Celestino, cardinale de sinistra in odore di santità, che scrive su «Micromega» ed è amico del priore di Bose, Enzo Bianchi. Segni particolari: forfora abbondante. C’è il formidabile cardinale Achille Tarchiani, legato alla Roma nera e papalina, adoratore del demonio (coltiva una sua anti-teologia), che considera il Papa un pericoloso populista.

La fauna del libro comprende poi il capo rom dell’Anagnina (Dragomir: serie tv preferita Narcos), truci boss della mafia nigeriana, vecchi arnesi dei servizi, nostalgici del Duce, ex leader di Lotta Continua, notai faccendieri, soci del Circolo Canottieri, capistruttura Rai, ex finaliste del Grande Fratello.

La trama vede i grillini con un nuovo nome che governano col Pd: la realtà ha anticipato al fotofinish la fantasia

Tutti coinvolti nella sanguinosa serie di delitti che scandisce la caccia al telefonino.

I frontman del romanzo sono due. Uno è Gricia, «fidanzato» di Emmanuelle, pastasciuttaro perso (da cui soprannome e stazza ragguardevole), un James Bond o un Indiana Jones de noantri , con un passato da infiltrato nelle Br e un cuore d’oro (ogni mese va al Verano a mettere un mazzetto di margherite sulla tomba del nonno, tipografo all’«Unità», e anche un fiore sulla sepoltura di Alberto Sordi). Morta Anna Magnani, Gricia è il più serio pretendente al titolo di Mamma Roma oggi sul mercato (e non formalizziamoci su questioni di genere). Fanatico di tennis, ha un sogno: fare due palle con Adriano Panatta (suo eroe anche politico per l’idea di presentarsi in maglietta rossa alla finale di Davis contro il Cile del dittatore Pinochet).

L’altro grande personaggio di Peccati immortali è l’ex senatore Giulio Nardi, una vita a muoversi nell’ombra di Quirinale, Vaticano, Confindustria, Cgil, Rai, Servizi: «Garantendo tutti e non scontentando nessuno; ma anche badando a non accontentarli del tutto». La politica al tempo dei tweet sembrava aver tagliato fuori il vecchio senatore. Ma ora che davanti al telefonino introvabile trema tutta Roma, ora che il gioco si fa duro, questo raffinatissimo scienziato del potere torna in auge. Nardi, discepolo di Giulio Andreotti, ama le battute come il suo mentore. Tipo: «Due sono le leggi di Roma: tutte le attrici sono troie, e tutti i politici hanno soldi da parte». Non si sa precisamente dove, ma un cuore batte anche dentro il cinico senatore. Non ha mai perdonato, infatti, Il Divo a Paolo Sorrentino. Per quel film Andreotti soffrì molto. «Arriverei a dire che ne morì», dice Nardi e si intenerisce al ricordo di Andreotti che ascolta Renato Zero e si commuove per il verso: «Il sole muore già, e di noi questa notte avrà pietà».

Il vecchio senatore è il personaggio a cui, come si diceva una volta, gli autori affidano il messaggio della loro opera. E sono così convincenti che, dopo aver letto questo brillante, travolgente romanzo (che non è solo di fantapolitica, ma è un romanzo romanzo, a tutto tondo), al senatore Giulio Nardi verrebbe voglia di dare i pieni poteri. A lui soltanto, beninteso.

Peccati immortali è un libro multitasking. Romanzo a chiave (chi sarà mai Veronica Grassi, «giornalista di scrittura modesta, ma con una diabolica capacità di stare nell’intrigo, e di intrigare»?). Manuale di cucina (ricetta della pasta alla gricia, piatto che, come si sarà capito, ha un ruolo non minore nella vicenda: pecorino romano, guanciale salumificio Sano di Accumoli, spaghettoni del pastificio abruzzese Mancini). Guida all’happy hour romano. L’aperitivo giusto? Dipende. Se Negroni, al Locarno; se Martini, all’Inghilterra (sembra quasi di rileggere Hemingway: «Il mio daiquiri al Floridita, il mio mojito alla Bodeguita»).

In questo romanzo, allegramente sinistro (e viceversa), su Roma come location, magnifica e cadente, del potere, accade di tutto. Vi si gira perfino il remake (non vi dico tra chi, ma c’entra un grillino) del bacio tra Riina e Andreotti. E, a un certo punto, si instaura un raggelante parallelo tra il delitto Pecorelli e il delitto Matteotti.

È evidente che Cazzullo e Roncone si sono assai divertiti a mettere su casa (narrativa) assieme. Non si sono fatti mancare niente: c’è perfino un finale con duello in stile western di Sergio Leone. E hanno azzeccato in pieno storia, personaggi e linguaggio, condendo ogni cosa con la giusta ironia, ma anche con un filo di vero dispiacere (povera Patria!).

Dopo Peccati immortali (un libro che asfalterà le classifiche di vendita), il giornalismo nazionale rischia di perdere due protagonisti. D’ora in poi Cazzullo & Roncone (onoriamoli con la e commerciale, se la meritano) saranno una coppia fissa letteraria. Categoria? La più chic (ma anche pratique): quella del bestseller di qualità.