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 2019  maggio 15 Mercoledì calendario

L’altrui mestiere di Primo Levi

Il 31 luglio di quest’anno Primo Levi avrebbe compiuto 100 anni, abbiamo pensato di raccontarvelo in 13 parole, tredici lemmi, uno per settimana, che riassumono la sua opera così importante, vasta e poliedrica. Sono voci di una piccola enciclopedia portatile per conoscere aspetti della sua opera e della sua vita, dalla presenza degli animali nei suoi libri al rapporto con la fede religiosa e l’ebraismo, dalla poesia alla chimica e alla fantascienza. Un ritratto a tutto tondo di un autore decisivo per la nostra letteratura, ma anche per la nostra coscienza civile.
I marciapiedi
Il 19 ottobre Primo Levi arriva a Torino. Sono trascorsi quasi nove mesi da quando è stato liberato ad Auschwitz, mesi trascorsi attraverso l’Europa distrutta dalla guerra scatenata dalla Germania hitleriana. Racconterà tutto questo viaggio solo nel 1963 in un libro, il suo secondo, intitolato La tregua. Al termine di quel racconto scrive: “la casa era in piedi, tutti i famigliari vivi, nessuno mi aspettava”. Finalmente potrà dormire in un vero letto e tra lenzuola pulite. Ma non ci riesce. Come spiega ai giornalisti che lo intervistano parecchi anni dopo – viene intervistato per la prima volta solo nel 1961, quattordici anni dopo la prima edizione di Se questo è un uomo – il materasso è troppo morbido e finisce per stendersi per terra per riuscire ad addormentarsi.
Un’altra abitudine che la permanenza nel Lager gli ha lasciato, è l’abitudine a guardare per terra mentre cammina lungo i marciapiedi di Torino. Così faceva a Monowitz nella speranza di trovare qualcosa che potesse servigli: “l’abitudine di camminare con lo sguardo fisso al suolo come per cercare qualcosa da mangiare o da intascare presto e vendere per il pane”. Nel Lager ha trovato una moneta in lega leggera, che poi si ritroverà in tasca una volta tornato a Torino. Si tratta di un soldo graffiato e corroso, che raffigura su una faccia la stella di David, la data 1943 e la parola getto. In tedesco è scritto: “Quietanza si 10 marchi”; e: “Il decano degli ebrei di Litzmannstadt”. Resterà in un cassetto per quasi tre decenni fino a che non diventerà il punto di partenza di un racconto dedicato a Chaim Rumkowski, il capo del Ghetto di Lodz in Polonia, collaboratore dei nazisti, personaggio che chiude con la sua storia il capitolo La zona grigia dell’ultimo libro: I sommersi e i salvati.
L’interesse per i marciapiedi ritornerà in un articolo pubblicato sul quotidiano “La Stampa” nel settembre del 1979, poi raccolto nel volume L’altrui mestiere (1985), uno dei suoi libri più sorprendenti, curiosi e acuti, dove scopriamo un Levi entomologo, linguista, esperto di giochi di parole, chimico, studioso del caos, maestro di storytelling, teorico della traduzione, critico letterario e anche antropologo. Segni sulla pietra, l’articolo dedicato ai marciapiedi di Torino, è un perfetto esempio di antropologia urbana. Levi cammina per la sua città e descrive i marciapiedi. Biasima che oggi i marciapiedi siano fatti d’asfalto. Riflette sul fatto che in futuro su questo manto verrà adagiato chissà quale altro materiale e gli archeologi di quei secoli futuri potranno leggere la nostra civiltà estraendo da sotto il manto tappi-corona della Coca Cola e anellini a strappo della birra in lattine, ricavandone dati sulla qualità e quantità delle nostre scelte alimentari. Come in tutte le città, scrive Levi, i marciapiedi sono pieni di sorprese. Vede poi modo in cui sono consumati e logorati dal passaggio delle persone.
Le parole di Primo Levi. Auschwitz, diteci se questo è un uomodi MARCO BELPOLITI Ad esempio davanti a Palazzo Carignano, perfetto esempio di architettura barocca, opera dell’architetto Guarino Guarini, eretto nel 1679 nel centro di Torino, il lastricato antistante l’edificio, lungo il percorso rettilineo tangente l’ingresso principale, è eroso dal passare delle persone, “mentre nei recessi della facciata barocca albergano lastre ruvide, perché per tre secoli non ci è passato nessuno”. Poi nota come nei pressi della sua abitazione, in Corso Re Umberto, all’altezza del numero 9 bis, vi sia ancora la presenza di spezzoni i bombe lanciate durante la Seconda guerra mondiale. Sono prismi d’acciaio gettati alla cieca dagli aerei alleati; disegnati in modo da cadere verticalmente sono fatti per forare tetti, soffitti, solai. Cadendo sulle ampie lastre di pietra, di cui sono fatti i marciapiedi di Torino, le hanno forate come punzoni di trancia e ora si trovano sotto la pietra. Ad attirare la sua attenzione da antropologo urbano sono soprattutto le gomme da masticare incivilmente sputate per terra. Dedica perciò una pagina al chewingum, alla sua composizione chimica, alla sua resistenza come materiale. Si tratta di un brano splendido, che costituisce un esempio perfetto, per quanto poco conosciuto dai suoi lettori, della prosa analitica di Levi, fatta di competenza, chiarezza e sottile ironia.
Scrive che le gomme da masticare costituiscono un perfetto esempio di un fenomeno che si presenta spesso nella tecnica: “lo sforzo che tende a rendere ottime le proprietà di resistenza e di solidità di un determinato materiale può condurre a gravi difficoltà quando si tratta di eliminare il materiale medesimo quando ha adempiuto alle sue funzioni”. L’altrui mestiere è forse uno dei libri meno letti di Levi, certamente uno dei meno conosciuti e citati, eppure, per quanto composto di articoli occasionali è un libro che mostra una delle caratteristiche principali di Primo Levi: la curiosità; sono degli “elzeviri”, come si chiamavano allora i pezzi di vario argomento non legati strettamente alla attualità che comparivano nelle pagine culturali dei quotidiani.
Non c’è cosa che non lo interessi, dagli insetti agli errori linguistici, dagli scacchi all’uso della videoscrittura dei computer, dalle ragioni per cui può scoppiare un incendio al linguaggio nascosto degli odori. In questo libro c’è molto poco del lager, eppure L’altrui mestiere, oltre a essere una lettura piacevole e interessante, ci fa capire quale sia il tipo di sguardo che Levi possiede, l’attenzione ai dettagli che coltiva, e poi la capacità di collegare i particolari al generale senza essere ideologico, scontato o retorico. Una lezione di metodo che è presente nei libri noti come in quelli meno noti, ma che meritano di essere scoperti e letti.
 
L’altrui mestiere è un libro composto di brevi articoli scritti da Levi tra gli anni Sessanta e Ottanta su quotidiani e riviste; vi racconta la sua vocazione di chimico, l’interesse per i giochi dei bambini, per i ragni, le formiche, le api; consiglia cosa scrivere a un giovane lettore e perché lui lo fa; spiega la sua passione per autori strani e sconosciuti; scopre la sua inconsueta vocazione di antropologo della contemporaneità.