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 2019  settembre 22 Domenica calendario

Tutti i mutamenti di Beatrice Lorenzin

Per spiegare agli elettori la sua scelta di iscriversi al Partito democratico, Beatrice Lorenzin, ieri ha scelto il quotidiano Il Dubbio. Non poteva fare scelta più azzeccata, l’ex fedelissima di Berlusconi che ora abbraccia Zingaretti, che di dubbi nella vita deve averne coltivati parecchi. “Nel 2013 ho partecipato alla scissione di Angelino Alfano, perchè ritenevo che il centrodestra di allora si stesse spostando troppo a destra ed era una scelta che non condividevo. Nel Pd – scrive – rafforzerò l’area liberale e popolare per evitare lo schiacciamento a sinistra, sostenendo la vocazione maggioritaria del partito”.
Ferma gli spostamenti a destra, evita gli schiacciamenti a sinistra: Lorenzin è specialista del placcaggio dei moderati italiani.
Ha cominciato a 25 anni, quando è entrata nei Giovani di Forza Italia. La chiamavano la Meg Ryan di Acilia e Paolo Bonaiuti, lo storico portavoce di Silvio Berlusconi, la allenava a parlare davanti alle telecamere.
Dal consiglio municipale è salita al governo e lì ha allattato i suoi gemelli, arrivati a 44 anni. Un dato biografico non proprio trascurabile, se si ripensa alla campagna per il Fertility Day che nel 2016 quasi le costò le dimissioni da ministro della Salute: una donna con la clessidra in mano, come se ritardare una gravidanza o non avere figli fosse sempre una scelta e mai una costrizione. Si scusò, la ministra, e fu costretta a farlo anche per un altro manifesto, sempre della stessa campagna, sulle “buone abitudini” e le “cattive compagnie”: le prime arianissime, le seconde con un nero di mezzo.
Erano gli anni del governo Renzi, Lorenzin aveva già superato la prova con Enrico Letta e pure Paolo Gentiloni la confermerà: cinque anni al timone del “vaporetto”, per dirla con lei, che poi sarebbe il carrozzone della sanità italiana. Porta il suo nome il contestatissimo decreto che ha alzato a dieci il numero di vaccini obbligatori e vincolato l’iscrizione a scuola ai soli “adempienti”.
Lei, di scuola, ha fatto il liceo classico, ma non si è mai laureata. Brandiva per strada l’Apologia di Socrate, per rispondere a Romano Prodi che aveva accusato i giovani forzisti di essere dei “mercenari”. “Ci teme”, replicava Lorenzin, che per quindici lunghi anni, Berlusconi, non l’ha abbandonato mai. Quando ha iniziato la lenta traversata verso il centrosinistra era con Angelino Alfano: scelsero un simbolo che sembrava un farmaco: “L’importante è che sia uno stimolante”, rispose la deputata romana. Coi simboli, va detto, non ha un gran feeling. Perché quando la transumanza verso i dem si compì, era la vigilia delle Politiche del 2018, scelse una margherita rosa per battezzare la sua Civica popolare. Rutelli e gli altri lo presero come un affronto. Lei li gelò con la sua naïveté: “Non è una margherita, ma un fiore petaloso. Ognuno quindi può interpretarlo in base alla sua immaginazione, ci sono i colori del sole, si può leggere in tanti modi e ho detto che per me potrebbe essere una peonia”.
Poi a volte Beatrice Lorenzin il candore lo mette da parte. E dice che l’utero in affitto è “l’ultraprostituzione” e che chi parla di stepchild adoption è un “ipocrita” che lo vuole mascherare. Oppure lancia avvertimenti contro “le ventenni che ti rubano il marito”. O nomina il figlio dell’allora collega di partito, Tonino Gentile, nel cda dell’Istituto nazionale dei Tumori di Milano e promuove il “prescritto” per corruzione Pasqualino Rossi alla Rappresentanza permanente dell’Italia nell’Unione Europea. Oppure inzeppa la sua lista – è successo alle comunali di Roma del 2016, quando lei era ministro – di cardiologi, ortopedici, endocrinologi e ginecologi, nonché di esponenti della sanità privata e dell’industria farmaceutica.
“L’alternativa non è tra Renzi e Grillo”, diceva quando “lavorava per costruire l’autosufficienza politica” del partito di Alfano. Nel dubbio, se li è presi tutti e due.