Corriere della Sera, 22 settembre 2019
Lo sciopero secondo Fruttero e Lucentini
Sciopero (s. m.) – Speciale forma di solletico usato dai cinesi a scopi originariamente (XIII secolo) terapeutici. Esperte «scioperanti» (shu-peng-lan) acquietavano l’ansia dei candidati agli esami imperiali per il mandarinato passandogli e ripassandogli i polpastrelli su determinate parti dell’epidermide. Il missionario gesuita padre Matteo Ricci (1552-1606) così descrive lo sciopero in uno dei suoi Commentarî dalla Cina: «Con tocco che mai vidi più lieve, le mani di detta damigella vellicano i corpi nudi, quando proni e quando supini, seguendo un’invisibile, geometrica figurazione sulla cute, e ciò denominano «sciopero a scacchiera». Ovvero operano quel soave titillamento mutandone a ghiribizzo la direzione, e dicesi allora «sciopero selvaggio». Allorché poi le servizievoli dita corrano senza nulla tralasciare dal capo alle piante dei piedi, esso solleticamento chiamasi «sciopero generale», cui massimamente induce al riso schietto e gaudioso quanti ne siano benefiziari». Introdotto più o meno copertamente nei collegi dell’Ordine, lo sciopero fu a lungo discusso: se ne ammettevano le virtù lenitive ma se ne temevano le possibili suggestioni confuciane. Senza contare che per carenza di scioperanti genuinamente cinesi, il compito di solleticare i collegiali veniva affidato a giovani donne di vita non sempre esemplare. La Controversia dei Riti, relativa all’ammissibilità per un cristiano di seguire pratiche religiose «pagane», pose comunque fine alla questione con un’ordinanza del Sant’Uffizio (1702) che vietava per sempre lo sciopero.