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 2019  settembre 22 Domenica calendario

Il super computer quantico di Google

Il Financial Times ha riportato per primo la notizia e tanto è bastato per scatenare una valanga di commenti. Poco importa che l’annuncio sia stato prontamente rimosso. Ufficialmente Google aveva caricato «per sbaglio» un suo documento sul sito della Nasa nel quale annunciava di avere raggiunto la «supremazia quantica». 
La notizia di sistemi di calcolo capaci di fare in tre minuti e 20 secondi calcoli la cui complessità avrebbe richiesto diecimila anni di tempo ai più potenti supercomputer tradizionali ha colpito indelebilmente l’immaginario collettivo. I dati di fatto sono in realtà molto meno suggestivi, ma questi cosiddetti «errori di comunicazione» ci fanno capire la ferocia della lotta sotterranea che si sta svolgendo fra i grandi big dell’informatica per prendere la leadership nel campo dei computer di nuova generazione. 
Il primo a parlare di computer quantici, nel 1981, fu Richard Feynman, premio Nobel per la Fisica e padre dell’elettrodinamica quantistica, un estroso e geniale professore che gli studenti di Caltech adoravano perché faceva lezioni indimenticabili. Feynman fu il primo a ipotizzare che se si volevano simulare i processi fisici caratteristici di sistemi quantici complessi, i computer tradizionali non sarebbero stati adeguati. Il numero di combinazioni da esaminare sarebbe stato troppo alto e l’unico modo possibile di rispondere alla sfida era di sviluppare un nuovo tipo di macchine, appunto i computer quantici. 
Si tratta di dispositivi completamente diversi rispetto alle macchine di calcolo tradizionali. I chip che gestiscono i nostri cellulari o quelli che funzionano all’interno dei più potenti supercalcolatori condividono la stessa base: il bit, un’unità binaria che, tipicamente, riflette lo stato di un microscopico condensatore: carico o scarico, acceso o spento, 1 o 0. Su questa base binaria si codificano tutte le informazioni e si fanno i calcoli e le operazioni più complesse. 
A cosa servirà 
Le future applicazioni: 
sistemi a guida automatica e sviluppo di nuovi farmaci 
I computer quantici usano i qubit, basati su fenomeni fisici nei quali la meccanica quantistica gioca un ruolo decisivo. Lo stato di questi minuscoli sistemi segue il principio di sovrapposizione, per cui un qubit può essere simultaneamente nei due stati 0 e 1, cioè essere contemporaneamente acceso e spento, o addirittura prendere tutti i valori intermedi compresi fra 0 e 1. Il vantaggio risulta evidente. Otto bit convenzionali possono immagazzinare una sola delle 256 possibili combinazioni di zero e uno, mentre otto qubit possono contenerle tutte simultaneamente. I computer quantici risultano quindi estremamente più veloci nel fare le stesse operazioni dei computer tradizionali (vantaggio quantico) o addirittura risolvere problemi che sarebbero impossibili per i dispositivi binari (supremazia quantica). 
Tutto questo si tradurrebbe in un enorme salto in avanti nella capacità di calcolo che aprirebbe la strada a infinite nuove applicazioni. Potrebbero valutare simultaneamente possibilità multiple e adattare le decisioni a un ambiente che cambia in fretta. Sarebbero strumenti ideali per affrontare sistemi complicati e quasi caotici, come la guida automatica in ambienti densamente popolati, o gli investimenti nei mercati finanziari, per non parlare dello sviluppo di nuovi farmaci o di materiali tecnologici innovativi. Questo spiega l’interesse delle aziende informatiche e dei centri di ricerca più avanzati del mondo. Google punta tutto sul suo sistema a 72-qubit, mentre Ibm sta sviluppando in queste settimane il suo primo chip a 53-qubit. Anche l’Unione europea ha investito un miliardo di euro in queste attività e nei progetti più rilevanti lavorano numerosi ricercatori italiani. 
Nonostante i progressi occorre tuttavia sottolineare che stiamo ancora parlando di sviluppi sperimentali, e la tecnologia non è ancora matura al punto da rendere disponibili prodotti affidabili. I fenomeni quantici che si utilizzano per far funzionare i qubit sono estremamente delicati. Molti sistemi richiedono temperature molto basse, di pochi millikelvin, cioè funzionano a -273.15 °C, e si basano su fenomeni che possono essere perturbati da ogni sorta di disturbo; molti degli stati quantici utilizzati vengono distrutti dal più insignificante rumore elettromagnetico. Per mitigare questo rischio si usano dei trucchi collegando assieme una combinazione di numerosi qubit per renderli meno sensibili ai disturbi. Tuttavia il rischio di potenziali errori rimane molto elevato e molti di questi sistemi diventano instabili per tempi superiori ai cento milionesimi di secondo. 
Quand’anche saranno operativi, i computer quantici saranno esposti a una frequenza di errore molto superiore a quella dei sistemi binari tradizionali. Insomma se dovremo fidarci delle loro previsioni sarà bene capire prima quanto e perché sbagliano.