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 2019  settembre 22 Domenica calendario

Il museo del Prado raccontato dal suo direttore

Professor Miguel Falomir, lei è direttore del Museo del Prado di Madrid dal marzo 2017. Come ha iniziato?
«Ho cominciato a lavorare al Prado nel giugno 1997 come curatore dei dipinti del Rinascimento italiano, quindi sono qui da 16 anni. E a novembre il museo ne compirà 200».
Durante questo tempo ha pure scritto diversi libri...
«Sì, molti sulla pittura rinascimentale italiana e veneziana. Negli ultimi anni Paolo Veronese è l’unico tra i grandi veneziani su cui non ho scritto».
Perché si è specializzato in pittori italiani?
«Mi hanno sempre interessato molto e quando sono diventato il curatore del Rinascimento italiano mi sono reso conto che la forza della collezione risiede nella pittura italiana e veneziana del XVI secolo».
Come è nata la collezione?
«Si tratta, soprattutto, dell’ex collezione reale raccolta tra il XVI e il XVIII secolo. La cominciò, con alcuni dipinti di Tiziano, Carlo I di Spagna che noi chiamiamo "il padre del Prado". I re di Spagna del XVI e XVII secolo raccolsero pittori vicini a Tiziano come Tintoretto, Veronesi e Rubens, van Dyck e Velázquez».
E dopo?
«I collezionisti del XVI, XVII e XVIII secolo non volevano mostrare l’evoluzione della pittura occidentale come fanno i musei moderni ma raccogliere tutte le opere che potevano dai loro pittori preferiti. Abbiamo la più grande collezione di Bosch e Tiziano al mondo. E pure di Rubens, di Velázquez, Goya, El Greco».
Quali sono i punti deboli?
«Prima di tutto la mancanza di dipinti del ’400. Nessuno era interessato a Botticelli, o al Mantegna, a Masaccio o al Beato Angelico prima che il gusto per questi pittori si affermasse nel XIX secolo quando la Spagna era diventata un Paese povero. Un’altra lacuna riguarda il XVII secolo olandese».
Goya e Velázquez continuano ad essere il vostro punto forte?
«Tutti i loro più importanti capolavori sono qui. Senza il Prado è impossibile capire questi due artisti. Ma anche la nostra collezione di El Greco è la migliore al mondo».
Quanti dipinti possedete?
«Abbiamo 56 Velázquez, e circa 180 dipinti di Goya; poi abbiamo 500 suoi disegni, cioè metà della sua produzione».
Qualunque cosa sia successa politicamente in Spagna, il Prado è rimasto lo stesso?
«Aprì nel 1819 come Museo Reale. Quando la monarchia cadde e nacque la Prima Repubblica fu nazionalizzato, ma è sempre stato un museo pubblico». 
È sempre rimasto aperto?
«Sì, tranne i tre anni della guerra civile dal 1936 al 1939».
Nel tempo il museo è diventato più grande.
«Il museo fu aperto in un edificio progettato come museo di storia naturale nel XVIII secolo dall’architetto spagnolo Juan de Villanueva, ma le truppe di Napoleone invasero la Spagna prima che potesse essere utilizzato. Quindi il re Ferdinando VII decise di usarlo come galleria d’arte e divenne più grande. E pure nel 20° secolo. L’ultima estensione è stata progettata da Rafael Moneo e inaugurata nel 2007. Sir Norman Foster ha progettato la prossima, che verrà utilizzata per mostrare più dipinti».
Quanti quadri ha il Prado?
«Abbiamo novemila dipinti di cui 1800 esposti. Altri tremila figurano in molti musei locali e istituzioni pubbliche in tutta la Spagna».
Fate acquisti?
«Non quanto vorremmo, ma stiamo ancora acquistando, principalmente in Spagna. Qui la legge è molto protettiva».
Ricevete donazioni?
«Parecchie, e per lo più dalla Spagna. Di tanto in tanto ci regalano capolavori».
Di cosa vive il museo?
«Riceviamo il 35% del nostro budget dal governo e l’altro 65% lo raccogliamo principalmente attraverso i biglietti, quindi ovviamente abbiamo negozi, caffetterie, ristoranti e così via. Abbiamo alcuni fedeli sponsor privati».
Quanti visitatori avete?
«Tre milioni, ma la metà non paga. Il museo è gratuito tutti i giorni dalle 6 alle 8».
In che cosa consiste il suo lavoro?
«Devo progettare le attività e raccogliere fondi per finanziarle».
Con che modalità prestate le opere?
«Ai progetti che hanno merito scientifico, ma meno che in passato. L’età d’oro delle mostre è finita, perché stanno diventando ridicolmente costose».
Le mostre sono importanti?
«Anche qui, meno che in passato. Musei come gli Uffizi o la National Gallery di Londra, il Louvre o il Prado sono importanti soprattutto per le loro collezioni, non per le loro mostre».
Madrid sta crescendo come destinazione turistica?
«Dal 2012 abbiamo più stranieri che spagnoli e le arti visive hanno svolto un ruolo chiave in questo sviluppo».
La Spagna si sta modernizzando?
«Sì, da quando siamo entrati nell’Ue. Basta vedere le infrastrutture, come i treni ad alta velocità e le autostrade».
Quali sono le sue speranze?
«Che il governo potesse aumentare il suo contributo fino al 50%. Voglio sperare che nel prossimo bilancio avremo i fondi per il finanziamento dell’estensione di Foster».
È tentato dall’America?
«No. Pensi che non volevo nemmeno essere nominato direttore. Adoro il Prado, ma la mia idea è di tornare tra qualche anno al mio ruolo di curatore».
(traduzione di Carla Reschia)