La Stampa, 22 settembre 2019
Il business delle banche che conservano i cordoni
Il metodo è lo stesso delle compagnie assicurative. Ci sono le tariffe e ci sono le offerte, i messaggi pubblicitari e gli agenti incaricati di proporre l’affare da una città all’altra. I clienti sono genitori che attendono con ansia, e con l’inevitabile dose di preoccupazione, la nascita del loro bebè. E se si tratta del primo figlio, ai venditori va ancora meglio, perché l’operazione di convincimento risulta decisamente più semplice. In ballo, nonostante il metodo da operazione finanziaria, non c’è un fondo d’investimento, ma la conservazione del sangue del cordone ombelicale. Un tema su cui il mondo scientifico non ha ancora un’opinione condivisa e su cui si alimentano speranze, ma anche dubbi e perplessità di tante mamme e papà.
Mentre la sanità pubblica europea non segue le stesse regole, le bio-banche private fanno affari d’oro. Soprattutto in Italia. Dalle nostre parti i centri di raccolta privati sono al bando dal 2005 e il sangue cordonale che contiene le cellule staminali emopoietiche può essere conservato solo nelle strutture pubbliche e solo come forma di donazione. A disposizione di tutti. Nessuno, dunque, può custodire per se stesso le proprie staminali: «La normativa - dicono all’Istituto superiore di sanità - ha uno spirito solidaristico». Ma per aggirare la legge, tanto per cambiare, un metodo c’è: affidarsi alle banche del sangue che hanno sede all’estero e che possono effettuare la raccolta anche nei nostri ospedali. «Se l’Italia si adeguasse alla normativa europea la conservazione si potrebbe fare nel territorio nazionale e con controlli più stringenti - dice Giuseppe Mucci, che dirige una bio-banca a San Marino -. Questo ovviamente ridurrebbe il rischio di operazioni di sciacallaggio da parte di chi propone offerte a prezzi stracciati senza assicurare gli standard di conservazione».
Il boom di richieste è costante e tra il 2010 e il 2017, secondo i dati dell’Istituto nazionale del sangue, ben 34 mila cordoni di neonati italiani sono stati esportati. Il registro non è aggiornato, perché molte regioni non comunicano con tempestività tutte le informazioni previste al Ministero. Il trend comunque è evidente. Le banche principali che coprono il "mercato" italiano hanno sede tra San Marino, Polonia, Olanda, Germania e Belgio. Ma anche in Svizzera, dove fino a qualche mese fa operava "Cryo-Save", una delle società che riuscivano a stipulare il numero maggiore di contratti. Ai prezzi più bassi, almeno fino al fallimento. Sulle vicende dell’azienda elvetica a Ginevra è in corso un’inchiesta, ma nel frattempo 15 mila famiglie italiane attendono di capire che fine abbiano fatto le sacche col sangue dei loro figli e se siano state conservate nel modo giusto. «La nostra idea era quella di avere una specie di garanzia sul futuro di nostro figlio - racconta Alessandro Piraneo, avvocato di Catania che ora combatte per sapere dove sia finito il sangue del suo bambino -. Gli svizzeri ci hanno detto di aver spostato 330 mila sacche, ma non sappiamo se ci sono anche le nostre. Noi abbiamo pagato 2 mila euro e temiamo di essere incappati in una truffa».
Il potere delle cellule staminali emopoietiche, secondo il ministero della Salute, è dimostrato nella cura di ben 60 patologie: elencate una dopo l’altra nella legge del 2015. Gli utilizzi possibili per il sangue cordonale sono di due tipi. Quello consentito dal Ministero della Salute è il trapianto "allogenico": le sacche raccolte (che solo nel 2018 sono state 10.661) vengono affidate alle 18 banche pubbliche e messe a disposizione di qualunque malato compatibile. Il trapianto "autologo", cioè il riutilizzo delle staminali per lo stesso donatore anche a distanza di anni, dalle nostre parti non è consentito. «C’è un’eccezione - spiega il direttore dell’Istituto nazionale del sangue, Giancarlo Liumbruno -. Quando una patologia viene diagnosticata prima del parto è consentito l’uso delle staminali emopoietiche sullo stesso bambino. Le persone che le hanno donate, e anche chi no, hanno comunque la garanzia che in caso di necessità il servizio sanitario si impegna a reperire nelle banche pubbliche le staminali compatibili. Nessuno viene escluso dai trattamenti».