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 2019  settembre 22 Domenica calendario

Nell’ultimo secolo le foreste in Europa sono aumentate

Se vi dicessero che, rispetto a un secolo fa, l’Europa è un continente più verde, con più foreste, forse pensereste alle geremiadi musicali di Adriano Celentano per la cementata via Gluck (se più anziani) oppure a Greta Thunberg che stringe le mani dei potenti del mondo, giudicandoli in silenzio per le loro inadempienze ecologiche (se più giovani). E pensereste, anche, di essere stati presi per i fondelli dall’uno, dall’altra, o da entrambi. A ogni modo è proprio così, e lo dice non un attivista o un cantante, ma uno scienziato, il ricercatore olandese Richard Fuchs dell’università di Wageningen, nei Paesi Bassi. Fuchs ha elaborato un dettagliato studio in grado di ricostruire la storia ambientale, decade dopo decade, del nostro continente. Il suo lavoro raccoglie infatti una miniera di dati ambientali da molteplici fonti (vecchie mappe ed enciclopedie, fotografie aeree, statistiche territoriali, inventari nazionali ecc.) e ci dice quanto l’Europa è stata verde, e quanto lo è oggi. Ne è emerso che, come ha dichiarato lo stesso ricercatore al Washington Post, «oltre 100 anni fa il legname veniva usato per quasi tutto: come combustibile per il fuoco, per la produzione di metalli, mobili, la costruzione di case. Per questo intorno al 1900 erano rimaste pochissime foreste in Europa. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, molte nazioni hanno poi avviato diversi piani di riforestazione che sono ancora oggi in corso». E poiché la tecnica non è poi così brutta come lo si dipinge, da allora le colture agricole si sono sviluppate su terreni sempre più piccoli, liberando spazio per nuovo verde. I centri abitati si ingrandiscono e incorporano porzioni di campagna, è vero, ma le nuove periferie e i sobborghi urbani richiamano quanti prima abitavano in aree agricole, che, abbandonate, sono tornate a essere ricoperte di foreste. In alcuni paesi, come in Spagna, importanti progetti di riconversione del territorio hanno trasformato terreni aridi e incolti in campi agricoli o foreste. La conclusione dello studio è che l’Europa è complessivamente più verde di un terzo rispetto a un secolo fa, quando cominciava a riprendersi dalle massicce deforestazioni dei secoli scorsi.Questo vuol dire che possiamo infischiarcene dei cambiamenti climatici, e radere al suolo l’Amazzonia per farci nuove città? Naturalmente no, ma significa semplicemente che, innanzitutto, non è poi così vero che la sensibilità ecologica sia una conquista degli ultimi tempi. Magari in modo meno appariscente, già in passato c’erano uomini con la testa sulle spalle che si preoccupavano delle foreste. E che, come raccomanda la signorina Thunberg, non si accontentavano delle parole (che a lei riescono particolarmente facili) ma agivano. E poi c’è anche la percezione di una popolazione europea che, complessivamente, insediata sempre più in tetre e fumose città anziché in campagne immerse nel verde, è per forza di cose distorta, e immagina che tutte le singole nazioni siano una soffocante distesa di superstrade, condomini e altre opere edilizie. La nascita dei partiti “verdi” è stato un fenomeno recente, ma testimonia solo la novità di una più diffusa preoccupazione per i temi ambientali nell’opinione pubblica, non una reale emergenza legata alla medesima. Lo studio di Fuchs (che peraltro non è nuovo, anche se ora è tornato alla ribalta per via degli incendi in Amazzonia) ci insegna anche che, quando un tema diventa politico, può essere soggetto a distorsioni e a strumentalizzazioni che nascondono certi dati e certe evidenze. Dunque, va bene preoccuparsi dell’ambiente, ma no, non stiamo soffocando nel cemento