il Giornale, 22 settembre 2019
I regali stravaganti alla dinastia dei Kim
A Natale con i parenti di solito va meglio: al massimo se butta male puoi sempre riciclare, se ci riesci, il pigiama in pile con le renne o il braccialetto etnico che fa tanto terzomondismo equo e solidale. Fare un regalo a un potente della Terra del resto non è mai facile anche per chi è circondato da centinaia di consulenti esperti sull’universo criato: a Benedetto XVI un sacerdote di New York, padre Peter Pomposello, regalò uno skateboard, e Sua Santità allora aveva già 81 anni; a Bush figlio il presidente rumeno Iliescu consegnò, convinto di fare bella figura, un ritratto di George W. medesimo mentre sparava a una lepre con la faccia di Saddam. Non solo orologi che costano come un appartamento in centro o gemme assortite alla signora, ma libri rari, immagini sacre e cesti di zibibbo. Ma tutto, più o meno, nella norma.
Quello che però non ha confronti è l’International Friendship Exhibition, l’inarrivabile cattedrale del kitsch istituzionale che sta due ore a nord est di Pyongyang, vicino al monte Myohyang, il più grande museo di regali dell’Asia, se non del mondo intero, che ospita, avendo il coraggio di mostrarli, i regali ricevuti dalla dinasty nordcoreana al potere, da Kim il Sung a Kim Jong Il fino a Kim Jong-un: 115mila regali secondo la contabilità ufficiale, ognuno etichettato e descritto in inglese e coreano, provenienti da 188 Paesi in epoche diverse e che molto raccontano del gusto dei potenti e degli amici del dittatore rosso. Sacre reliquie spalmate su 150 stanze e sei piani e protette da guardie armate di kalashnikov come se ci fosse qualcuno veramente intenzionato a rubare qualcosa da lì dentro.
La Corea del Nord è da sempre quella ragazzina strana in fondo alla classe che fa disegni inquietanti in continuazione sul suo quaderno cercando di convincere tutti di essere la più bella della scuola. Anche se i presentini che le rifilano qualche dubbio dovrebbero far venire. Passi la tenerezza per l’orso Misha, arrivato dall’Urss, che era si la mascotte delle Olimpiadi 1980 ma anche le uniche boicottate dagli Stati Uniti. O per l’orsetto, un altro, in blazer blu con il distintivo della Lega Giovanile comunista della Germania Est cucita sul taschino. E sul trenino che il gusto comincia a deragliare. Il primo lo confezionò Stalin, il secondo Mao, e ai tempi era il massimo dei lussi possibili. Quello cinese, a ben guardare, ha decorazioni migliori intorno alle finestre, ma Baffone per non farsi superare bissò il regalo con un’elegante limousine a prova di proiettile sicuro di cementare legami fraterni con un uomo il cui culto della personalità aveva superato persino il suo.
Impagabili i ribelli sandinisti del Nicaragua che vollero dimostrare onore e rispetto per Kim Il-sung regalandogli una statua per nulla inquietante di un coccodrillo morto che serve bevande: un alligatore ghignante lungo tre piedi che si solleva sulle zampe posteriori con un vassoio di bicchieri di vino negli artigli, riadattato da defunto in cameriera da cocktail. La compilation funebre vanta però carogne anche più trash. Un anonimo canadese ha regalato ai satrapi una pelle di orso polare con la testa del plantigrado ancora attaccata mentre il leader del Madagascar si è presentato giocondo con una lumaca fossilizzata. Nessuno però ha fatto meglio di Nicolae Ceausescu che sorprese la famiglia con una testa d’orso piantata su un cuscino rosso sangue. Pensava di fare gradito pensiero.
Si dice che i regali raccontino molto dei donatori, va quindi a Leonid Brezhnev il merito di aver pensato alla signora Kim Song-ae. Solo il leader sovietico abbinava gioielli e accessori moda per lui e per lei: una collana, un braccialetto, fermagli per capelli e per cravatte, gemelli e portasigarette realizzati in ambra. Un signore (in rosso...).
Le stanze, contengono molte armi tra cui un fucile da caccia di Vladimir Putin, un pugnale corto di Erich Honecker, una spada d’oro di Mu’ammar Gheddafi. I regali sono stati ordinati per Paese anziché per cronologia, dimensioni o valore: c’è una mucca di porcellana dalla Danimarca, bronzi dal Benin, lance dallo Zambia, peltro dalla Malesia. E da Hong Kong, un Rolex in oro massiccio fin troppo prevedibile che fa molto comunisti con il Rolex.
Naturalmente, in una raccolta di regali così ampia, molti sono noiosi e ripetitivi. Ci sono per esempio piatti abbastanza per servire la cena all’intero corpo ufficiale dell’esercito e abbastanza vasi con fiori recisi per decorare i tavoli delle loro mogli. Accendisigari, posacenere, bastoni da passeggio e set di penne tutti di provenienza socialista testimoniano più spesso la mancanza di immaginazione che la devozione all’alleato. Lo spazio dedicato alla Cina e all’Unione Sovietica, i due giganteschi vicini di casa comunisti, è ampio e variegato, mentre il contributo degli Stati Uniti, nemico giurato prima del colpo di fulmine con Trump, si riduce a una collezione di farfalle abbandonate spedita dal National Black United Front, tre palloni da basket Spalding in edizione limitata donate dall’ex star dell’Nba Dennis Rodman e una maglia firmata dagli Harlem Globetrotters. La guida del museo, Han Jong-Suk, ha spiegato al Mirror che la mostra è stata istituita perché i nordcoreani potessero rendersi conto della «grande reputazione» che hanno sempre avuto i Kim nel mondo, cosa che, a giudicare da un bel manipolo di regali, dovrebbe invece far sospettare il contrario: «Lavoro qui da 40 anni e questo è l’onore della mia vita». Giura che Jimmy Carter, dopo aver incontrato Kim Il-Sung nel 1984, tornò «per dire al popolo americano che il Brillante Compagno era più grande persino di Washington e Lincoln». Effetti del Soju alcolico. Ma in una società così accuratamente isolata è l’arsenale nucleare a proteggere monumenti e palazzi, compresi quelli che conservano cristallo di Waterford. O i pigiami con le renne.