il Giornale, 22 settembre 2019
Storia della spia infiltrata dalla Cia al Cremlino
«Che cosa non sopporta?». «Una su tutte: il tradimento». Vladimir Putin ne ha parlato in più di un’intervista: per l’ex colonnello del Kgb, cresciuto sin da ragazzo nel mito di «scudo e spada», il simbolo dei servizi segreti russi, non c’è uomo peggiore di chi volta le spalle a Patria e amici. Anche per questo Oleg Smolenkov dovrà nascondersi per sempre, celando il proprio passato dietro il nome e l’identità falsi che gli sono già stati assegnati.
Fino a pochi giorni fa l’ex funzionario della presidenza russa era un illustre sconosciuto. Poi la Cnn e il New York Times hanno raccontato la sua storia: Smolenkov lavorava al Cremlino, come assistente di Yuri Ushakov, consigliere per la politica estera di Putin. Ma il tecnocrate esperto in affari internazionali era anche un agente della Cia.
Nell’estate del 2017 parte per una vacanza al mare con la moglie e i tre figli piccoli. Vola in Montenegro, meta preferita dell’élite ex sovietica, e da lì scompare con la famiglia. In un primo tempo l’Fsb, il successore del Kgb, apre un’inchiesta che non esclude nemmeno l’omicidio, salvo poi scoprire che gli americani avevano fatto fuggire tutti negli Stati Uniti.
Non si sa perché la Cia abbia deciso di togliere dalla circolazione il proprio uomo. C’è chi ha detto perfino, ma l’indiscrezione è stata subito smentita, che sia colpa di Donald Trump: i servizi segreti Usa avevano paura che il presidente si facesse sfuggire la presenza della talpa in qualche colloquio con le controparti russe. Non si conosce neppure con esattezza l’esatto ruolo ricoperto da Smolenkov. Il quotidiano moscovita Kommersant ha scritto che aveva diretto accesso al presidente e che veniva a contatto con informazioni riservate. Altre voci hanno suggerito che fosse una fonte dell’inchiesta sui tentativi russi di influenzare le elezioni americane del 2016. Al contrario il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov ha sminuito la sua figura, descrivendolo come un impiegato di scarso rilievo, che per di più era già stato allontanato dall’incarico. Nei giorni scorsi l’agenzia Interfax ha scritto che alcuni funzionari sono stati licenziati per aver consentito a Smolenkov di viaggiare in Montenegro, nonostante ai più alti dirigenti statali fosse in quel momento vietato.
Nel passato, più o meno recente, i servizi di sicurezza ex sovietici hanno dimostrato di pensarla come Putin sul trattamento da riservare a nemici ed ex amici. Il 23 agosto scorso in un parco nel centro di Berlino è stato ucciso Zelimkhan Khangoshvili, georgiano che aveva combattuto con i ribelli nella seconda guerra cecena. L’uomo aveva fatto da mediatore con le autorità nella vicenda di un sequestro ed era già stato vittima di un paio di attentati. L’assassino, arrestato poco dopo l’omicidio, aveva un passaporto russo, emesso poche settimane prima dell’agguato e che fonti investigative tedesche collegano direttamente agli uomini dell’Fsb. Quanto alle ex spie in senso stretto, le più famose vittime attribuite al Cremlino sono Alexander Litvinenko e Sergei Skripal. Il primo, ucciso con l’ormai famoso tè al polonio, era da sempre un nemico giurato di Putin. Negli anni dell’esilio londinese aveva dimostrato una sorta di ossessione per il Presidente russo, fino a mettersi alla ricerca di un fantomatico video che secondo Litvinenko avrebbe provato una seconda vita dell’inquilino del Cremlino. Skripal, sopravvissuto con la figlia a un avvelenamento da gas nervino, continuava invece a fare da consulente per i servizi di alcuni Paesi dell’Est europeo.
Il fatto è che per i russi il tradimento non si dimentica, nemmeno a distanza di decenni. A dimostrarlo è la più famosa «talpa» che gli occidentali abbiano mai piazzato nel cuore del potere moscovita: Oleg Gordievsky, colonnello, uno degli uomini di punta del Kgb, che era però anche al servizio del britannico MI5. A parlarne, poco tempo fa, è stato lo stesso Andrei Lugovoi, l’uomo accusato di aver ammazzato Litvinienko: «Se proprio avessimo dovuto uccidere qualcuno avremmo ucciso lui», ha detto in un’intervista.
Dalla defezione, quasi 25 anni fa, Gordievsky vive in Inghilterra; la sua casa è sorvegliata 24 ore su 24 da uomini in borghese e sofisticate apparecchiature elettroniche. Il livello di sicurezza è stato innalzato di recente. Un libro appena uscito The spy and the traitor, la spia e il traditore, racconta la sua romanzesca fuga da Mosca: alla vigilia dell’arresto, riesce a sfuggire agli uomini che lo pedinano e mette in pratica le istruzioni, pronte da tempo, per la sua «esfiltrazione», con un meccanismo che si può immaginare del tutto simile a quello attuato per Smolenkov. Nel suo caso il piano prevede che attraversi il confine finlandese nel doppio fondo dell’auto di un diplomatico britannico. Ma al posto di frontiera i cani della polizia individuano qualche cosa e si avvicinano minacciosi. È un pannolino sporco a salvarlo: la moglie del funzionario inglese, che viaggia con il figlio neonato, ha la prontezza di mettersi a cambiare il bimbo sul pianale dell’auto. Perfino gli addestrati cani della milizia decidono a quel punto di girare alla larga.