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 2019  settembre 22 Domenica calendario

Biografia di Muhammad Ali

WIMBLEDONX
Tutto comincia con una bicicletta bianca e rossa. È una Schwinn Cruiser modello deluxe, con parafanghi e cerchi cromati e un grosso faro rosso a forma di razzo. È il 1964 è quella bicicletta costa 60 dollari, l’equivalente degli attuali 500. Sono tanti soldi, e infatti il signor Cash ne ha potuta comprare una sola anche se ha due figli. In un pomeriggio di ottobre qualcuno ruba la Schwinn Cruiser bianca e rossa ai due ragazzini. Qualcuno dice loro che nel seminterrato dell’auditorium c’è un poliziotto al quale possono sporgere denuncia. Il poliziotto, però, in quel momento è fuori servizio ed è lì perché nel tempo libero fa l’allenatore di pugili dilettanti. La storia di Cassius Clay – il pugile più famoso della storia – comincia in quel m0mento, in quel seminterrato. 
È una storia complessa che mescola lo sport, la questione razziale, la religione, l’America. A ricostruirla è il giornalista Jonathan Eig nel suo libro Muhammad Ali, la vita, edito da 66thand2nd, che racconta le vicende di quello che era «diventato uno degli uomini più odiati d’America e, quasi simultaneamente, uno dei più amati». Due uomini in uno: Cassius Clay e Muhammad Ali. 
Nella scelta di cambiare il proprio nome c’è il tumulto della rivincita: Cassius Marcellus Clay Jr è il suo «nome da schiavo», un nome – e una condizione – che Clay vuole cancellare. E lo farà, non solo all’anagrafe, ma anche diventando «l’essere umano più famoso al mondo», come lo definisce Eig. «Sono l’America. Sono la parte che non volete riconoscere. Ma vi conviene abituarvi a me». E ancora, in una famosa conferenza stampa: «Non ho bisogno di essere ciò che volete che sia». La ribellione, lo scrollarsi di dosso secoli di oppressione, la rivendicazione. «Affermò – si legge nel libro – che i bianchi e i neri stessero meglio separati. «Nella giungla, i leoni stanno con i leoni, le tigri con le tigri, i cardinali rossi con i cardinali rossi e le sialie con le sialie». I giornalisti non si raccapezzavano: Com’era possibile che un nero decidesse di opporsi in quel modo all’integrazione? E come potevano loro occuparsi della Nation of Islam e dei Back Muslims nelle loro rubriche sportive?
Perché di questo parlava Cassius Clay dopo aver conosciuto Elijah Muhammad, l’uomo che si presentava come «il profeta della Nation of Islam», un gruppo religioso consacrato al separatismo e al potere nero. Sarà lui a cambiargli il nome e forse anche la vita. Una vita fatta di eccessi: soldi tanti (e altrettanti debiti), mogli quattro, pugni incassati nella sua carriera 250mila. Una vita complessa, com’era complesso quel preciso momento storico in America. 
La sua fama supererà l’era dei diritti civili, la Guerra fredda, la guerra del Vietnam (che lui diserterà) gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, inoltrandosi nel Ventunesimo secolo: Cassius Clay «vivrà abbastanza a lungo per vedere la casa della sua infanzia di Louisville trasformarsi in un museo», scrive Eig, che ha lavorato a questo libro per quattro anni, raccogliendo giornali dell’epoca e testimonianze preziose, come quella dell’attivista Bernardine Dohrn. La donna racconta di un episodio avvenuto nell’estate del 1966. Ali ha 24 anni, e all’apice della sua forma fisica, «troppo veloce per essere preso, troppo forte perché qualcuno potesse resistergli, il pugile più perfetto che il mondo avesse mai visto». È lo sportivo più famoso del pianeta, il musulmano più noto d’America, il detrattore più visibile della guerra in Vietnam. È ossessionato dalle auto, dalle case, dalle donne. Un tipo detestabile, insomma. Ma un giorno si presenta davanti a una casa che gli agenti della contea di Cook stanno svuotando per sfrattare gli inquilini, una famiglia che stava partecipando allo sciopero degli affitti organizzato da Martin Luther King. Il marciapiede è pieno di mobili, vestiti, libri e foto di famiglia. Ali si toglie l’elegantissima giacca blu che indossa, raccoglie una sedia e – senza dire una parola – la riporta all’interno dell’abitazione. «Dopo qualche secondo – racconta Dohrn – decine di persone imitarono il suo gesto. In un attimo, la casa era di nuovo piena», e Ali era sparito, con la sua giacca blu. L’odiavano, ma lo amavano anche. 
In un ribaltamento di piani, lo sport diventa solo lo sfondo di questa storia, seppure senza la boxe questa storia non ci sarebbe nemmeno stata. Ma più dei suoi piedi veloci, più dei suoi colpi potenti, più dei 548 round disputati da professionista e i 260 da dilettante, in questa storia conta la voglia di riscatto di un uomo nero in un’America dove l’integrazione è ancora lontana.