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 2019  settembre 22 Domenica calendario

I problemi quotidiani di Leonardo da Vinci

Sono molti gli abbozzi e i frammenti di lettere che Leonardo ci ha lasciati. La maggior parte di essi si ritrova nel Codice Atlantico nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Si tratta di abbozzi che raramente hanno raggiunto la forma definitiva e fra quelli che il Codice Atlantico tramanda, più di una ventina, non sappiamo neanche se, eventualmente riscritti da lui in bella copia e poi da qualche copista riscritti in senso normale, abbiano mai raggiunto il destinatario. Le uniche due lettere effettivamente spedite – una lettera indirizzata al Cardinal Ippolito d’Este e partita da Firenze il 18 settembre del 1507, per sollecitare la risoluzione di una causa intentata ai fratelli, e una lettera indirizzata al Sultano Bayazid II, in cui Leonardo propone la realizzazione di un audace ponte tra Pera e Costantinopoli, il cui originale si ritiene scritto a Genova il 3 luglio di un anno imprecisato, ma che molti ritengono sia il 3 luglio del 1503, e che arrivò a Costantinopoli quattro mesi dopo – non sono infatti scritte di pugno da Leonardo, benché la prima sia da lui firmata – unico caso finora noto di una lettera firmata da Leonardo stesso -, mentre la seconda poi è addirittura scritta in turco. Le lettere di Leonardo mettono in evidenza, da un lato, una smisurata smania di appagare le proprie ambizioni, ammiccando a quelle ancor più vaste dei principi, dei tiranni e delle Repubbliche cui egli si rivolgeva per offrire il suo genio, e, dall’altro, la dura realtà in cui l’uomo era calato, nelle quotidiane difficoltà pratiche della vita, coi garzoni e i servi da mantenere, i compensi promessi non pagati, i suoi diritti ereditari violati, le invidie dei suoi collaboratori e le malevolenze di cui fu oggetto nella Roma di un papa Medici, Leone X, nonostante la protezione di un altro Medici, Giuliano, fratello del papa e suo committente e amico. 
Soprattutto le lettere inviate a quest’ultimo, danno la misura della frustrazione che Leonardo deve aver avvertito ancora a quest’epoca. Questi appunti di lettere, scritti d’impulso, comunicano un disagio e spesso un’insoddisfazione che devono tuttavia essere rimasti repressi e che raramente poterono trovare una soluzione. 
Il genere letterario dell’Epistola doveva aver molto interessato Leonardo: nei suoi manoscritti e nei due più lunghi elenchi di libri da lui posseduti (Codice Atlantico, f. 210 recto, circa 1490-95, e Ms. Madrid 8936, ff. 2 recto-3verso, circa 1503-4 ) si ritrovano infatti molti volumi di Epistole. Gli studiosi hanno cercato di identificare i titoli dei volumi che raccolgono o trattano di “epistole” sommariamente indicati da Leonardo, ma pochi si sono chiesti quali siano state le ragioni della loro inclusione nella sua biblioteca, né di chiarire a quale scopo egli potesse averli letti, consultati e conservati. Intanto, i testi citati da Leonardo si possono dividere sommariamente in tre generi: testi di autori celeberrimi che, attraverso il genere della lettera, creano delle vere e proprie opere letterarie, creazioni fantastiche che diventano pura letteratura; il secondo genere è quello che comprende raccolte di lettere di autori famosi, e, infine, un terzo genere che consiste in testi didattici sul modo di scrivere e indirizzare lettere, a seconda dei destinatari e del tipo di lettera che si intende scrivere. Al primo genere appartengono le Heroides di Ovidio, autore caro a Leonardo che fa spesso riferimento alle sue Metamorfosi, e che si può dire abbiano fondato il genere letterario dell’Epistola. Se è nota la consuetudine di Leonardo con Ovidio meno nota è la ragione della presenza nella sua biblioteca delle Pistole di Fallari cioé di Falaride, o meglio dello Pseudo-Falaride ( le lettere sono, in realtà, una falsificazione, come dimostrò fin dal Seicento R.Bentley ), cioè del tiranno di Agrigento vissuto tra il 570 e il 555 a.C., raccolte e tradotte dal greco in latino da Francesco Griffolini e variamente pubblicate a Roma, Padova, Napoli, Venezia, Milano e Firenze, tra il 1468 e il 1488, e di cui esistono due volgarizzamenti: uno di G.Andrea Ferabos, e l’altro di Bartolomeo Fonzio, o della Fonte. Leonardo conobbe, probabilmente, quest’edizione in volgare pubblicata a Firenze nel 1488. Le lettere di Falaride, o di chi le avesse in realtà scritte, erano ben note nella Firenze medicea, da usarsi pro o contro il potere mediceo. Infatti, se il volgarizzamento del 1488 ad opera del Fonzio deve essere visto come un ulteriore atto di giustificazione del potere mediceo, un decennio prima Alamanno Zanobi Rinuccini ( Firenze 1426-1499), che pure era stato oratore della Signoria fiorentina presso Sisto IV, aveva, nel suo Dialogus de libertate, scritto attorno al 1478-1479, paragonato Lorenzo de’ Medici a Falaride, per aver creato un sistema di potere autocratico e clientelare, allontanando il popolo dalla vita pubblica e assoggettando il potere giudiziario al suo governo. È dunque lecito pensare che le Pistole di Fallari trovassero dunque la loro ragion d’essere nella biblioteca di Leonardo che, fra un tiranno e l’altro, Lorenzo de’ Medici o Ludovico il Moro, Alessandro VI o suo figlio Cesare Borgia, doveva imparare a barcamenarsi e forse anche a costruirsi un “pensiero politico” adeguato ai tempi e ai suoi repentini cambiamenti di alleanze. Studiare le sue lettere equivaleva forse a guardare la storia e la politica da dentro le sue pieghe. Così come avviene, del resto, leggendo quelle di Leonardo.
La famosissima lettera del Codice Atlantico in cui Leonardo vanta di poter eseguire opere mirabili in tempo di pace e di guerra, macchine militari, fortezze, armi da «offendere e difendere», nonché di eseguire il «Gran cavallo» per il monumento a Francesco Sforza, vergata con l’aiuto di Bernardo Rucellai e inviata al Moro fra il 1483 e il 1485, mentre ci illumina circa le ambizioni di Ludovico (e di Leonardo), contrasta quanto più non potrebbe con il contenuto di due abbozzi di lettere allo stesso Ludovico, che contengono confessioni sullo stato sorprendentemente miserevole in cui versano le condizioni dell’artista: «El non mi rincresce tanto d’essere... Assai mi rincresce d’essere in necessità, ma più mi dole che quella sia causa dello interrompere il desiderio mio, il quale è sempre disposto a ubbidir vostra Eccellenzia. È mi rincresce assai che tu m’abbi trovato in necessità e che l’avere io a guadagnare il vitto m’abbi a ’nterrompere...». Con l’aggravante di aver dovuto mantenere, per tre anni, due maestri e sei bocche da sfamare. All’apice del suo successo, dopo aver eseguito il Cenacolo, Leonardo confessa di aver difficoltà a procurarsi il vitto!!!
Come per la lettera indirizzata ai Fabbriceri del Duomo di Piacenza, per cui si offre di realizzare porte di bronzo che saranno il vanto della città, o come per la proposta citata di costruire un ponte da Pera a Costantinopoli (progetto che avrebbe coltivato poco più tardi anche Michelangelo) e che si dovrebbe datare al tempo di un eventuale passaggio a Genova di Leonardo nel 1498, piuttosto che al successivo periodo trascorso con Cesare Borgia (1502-1503), le offerte di Leonardo, tramandate dalle sue lettere, non sortirono alcun risultato. Infatti, nulla di tutto ciò fu mai realizzato e il tono lamentoso delle ultime lettere al suo protettore Giuliano de’ Medici dà la misura della continua lotta per la sopravvivenza quotidiana che egli fu costretto a ingaggiare con gli assistenti malevoli e scaltri e contro le «avversità di fortuna». Solo la chiamata alla corte di Francesco I riuscì alla fine, tra il 1516 e il 1519, a compensare l’artista di un riconoscimento che aveva stentato a manifestarsi presso i suoi precedenti committenti e che, comunque, data l’età avanzata di Leonardo, non poté produrre nessun risultato apprezzabile, se si eccettua, forse, il riflesso dei suoi studi architettonici per il palazzo reale di Romorantin (o per Amboise) nel nascente castello di Chambord.