Non è la prima volta che recita, però.
«È la prima in cui sono completamente solo e non ci sono abituato. E poi partiamo dal fatto che di Gaber non so niente, che magari è un vantaggio».
Che vuol dire?
«Amo pochi artisti che frequento ossessivamente. Sono sempre stato uno jannacciano fin da piccolo, dai racconti di mio padre che era stato in classe con lui. Il suo gusto surreale è anche mio. Gaber l’ho ammirato ma solo adesso che sono nel suo mondo sento che non ne uscirò più».
E il vantaggio di cui parlava dov’è?
«Ci entri più libero. Credo di essere cambiato. Prima volevo fare solo quello che sapevo fare. Da una ventina d’anni ho iniziato a fidarmi di chi vedeva in me qualcosa che io non vedevo: Luciano Berio che nel 2000 mi scelse per l’Opera da tre soldi e di Brecht non sapevo niente, Lina Wertmüller che mi chiamò per
Film d’amore e d’anarchia, Gallione che mi fa fare nel 2015 il musical Gli Addams, ora Gaber... Porca vacca, con gente così non posso tirarmi indietro. A Gallione ho solo chiesto di mettere qualche canzone per sentirmi a casa. E il risultato non è cambiato grazie agli arrangiamenti davvero belli di Paolo Silvestri».
Il personaggio de "Il Grigio" si isola, combatte con qualcosa che non vede. A lei è mai capitato?
«Ho avuto, senza merito, una fortuna: che intorno ai 15 anni ho iniziato a soffrire di attacchi di panico. Oggi sono diagnosticati ma negli anni Settanta mi curavano per altre cose che non avevo».
Quindi?
«Ho fatto tutto io. Mi vergognavo di parlarne, non volevo apparire debole e ho passato anni a mostrarmi per quel che non ero. Ho interpretato la vita e questo mi ha regalato uno sguardo più disincantato. Mi sono rafforzato, fino a quando alla fine degli anni Settanta ho pensato che salire su un palco insieme ad altri poteva essere un modo di uscire da quell’inferno».
E oggi?
«Con gli Elii tutto bene, siamo un gruppo ma ognuno è libero di fare la sua attività. Abbiamo tanti progetti ancora insieme».
Sì, ma lei oggi come sta?
«L’ansia c’è, però la affronto in un altro modo. Non mi sembra più di morire. E poi le idee migliori mi vengono spesso quando sono solo, un po’ come il personaggio del Grigio. In fondo, dopo aver combattuto col topo, anche lui capisce davvero che se stesso è».
Ma questo topo chi è?
«È il personaggio di Gaber, è tutti noi, il mostro che abbiamo dentro, quella parte oscura, negativa che convive col nostro essere buoni, tolleranti. Il mostro è l’ansia, la paura di ciò che non afferri, di chi viene da lontano, anche se il topo non è l’immigrato. Perché Gaber, è vero, era profetico e il testo dell’88 ci parla oggi come ieri ma l’aspetto più interessante secondo me è che il mostro è quell’infantile e immaturo rifiuto della difficoltà per cui non sappiamo più affrontare i problemi».
Tutti bamboccioni?
«Il muro di Trump o chi dice di chiudere i porti sono rifiuti puerili di un problema. I nostri nonni hanno vissuto la guerra, noi siamo spaventati dalla nostra ombra. Non abbiamo il coraggio di guardare in faccia il "grigio"».
Lei è contento di sé?
«Sì, oggi sì. Sono stati tanti salti nel vuoto ma i rischi si devono correre.
È un modo di non nasconderti al tuo mostro. Conta chi è il tuo esempio. Tra i miei "padri della patria" ci sono Jannacci e Gaber. E ci tengo, in un’epoca in cui trovo incredibile come siano spariti valori e ideali, per una vita fondata sul tatuaggio e sulle unghie: ha notato quanti negozi ci sono per le unghie? A me esalta l’attenzione, la cura delle parole, del verso, che Gaber metteva nel suo lavoro e che anche noi con le Storie Tese abbiamo sempre cercato. Altro che prendere un computer e...».
Con chi ce l’ha ?
«I rapper, i trapper. Non mi piacciono. Spero che passi in fretta la moda e che si torni a suonare».