La Stampa, 22 settembre 2019
La guerra tra Lagarde e Merkel
VANITYX
Christine Lagarde ancora non si è insediata alla guida della Banca centrale europea ma il duello con la cancelliera tedesca Angela Merkel è già iniziato ed ha in palio la ricetta per la crescita dell’Eurozona.Nominata grazie a un delicato compromesso fra Parigi e Berlino, Lagarde ha parlato per la prima volta da presidente eletto della Bce consegnando al Parlamento europeo un messaggio esplicito: «Le economie più ricche dell’Eurozona, che hanno spazio fiscale a disposizione, devono spendere per migliorare le loro infrastrutture» ed è un passaggio cruciale «perché si tratta della maggioranza dei Paesi europei» e può portare a una «cooperazione fra tutte le istituzioni europee per rispondere alla minaccia del populismo». Il messaggio è diretto anzitutto a Berlino perché la Germania non è solo la nazione più ricca dell’Eurozona ma è anche alle prese con un inatteso rallentamento del Pil che pone l’interrogativo sulla necessità di misure fiscali da parte del Bundestag a sostegno della crescita. L’intenzione di Lagarde, che si insedierà a Francoforte il 1 novembre, sembra essere dunque di trovare un accordo con Angela Merkel su un pacchetto di stimoli capaci di aiutare la Germania ad allontanare lo spettro della recessione e al tempo stesso di consentire all’Eurozona di avere risorse per politiche espansive capaci di affrontare il malessere sociale da cui si alimenta la protesta populista in più Paesi.
È un approccio condiviso da più capitali europee – da Parigi a Madrid – che ha trovato ascolto a Berlino da parte del ministro delle Finanze, Olaf Sholtz, che si è detto «pronto ad agire in momenti di crisi nel rispetto di un bilancio in equilibrio». Ma Angela Merkel è di tutt’altra opinione perché «in forza degli investimenti che abbiamo già approvato non ci sarà carenza di liquidità». Il riferimento è al bilancio 2020 per la costruzione di centinaia di migliaia di appartamenti, strade e infrastrutture digitali che il Bundestag dovrà varare in novembre e su cui Merkel confida per far riprendere il Pil nazionale che nel secondo semestre dell’anno è sceso dello 0,1 per cento. Ovvero, la Germania ha risorse a sufficienza per riprendersi e non ha bisogno di varare alcuno stimolo fiscale.
La differenza di approccio fra Lagarde e Merkel non potrebbe essere più lampante: la prima teme l’impatto della guerra commerciale Usa-Cina e per allontanare l’incubo della recessione dall’Eurozona chiede ai Paesi ricchi dell’Ue di guidare uno stimolo per la crescita mentre la seconda ritiene che la fase di difficoltà della Germania sia passeggera e dunque si op-pone a qualsiasi concessione sul fronte degli incentivi fiscali.
È un duello solo agli inizi nel quale potrebbe svolgere un ruolo Ursula van der Leyen, la nuova presidente tedesca della Commissione europea, intenzionata a incentivare la crescita Ue facendo leva su sostegno all’occupazione, all’innovazione tecnologica e alla difesa del clima. È una piattaforma studiata per essere un terreno di incontro nell’Emiciclo di Strasburgo fra popolari, socialisti, liberali e verdi al fine di diventare una piattaforma comune fra i governi Ue e dunque anche per facilitare una mediazione fra Lagarde e Merkel. Da qui l’importanza delle mosse dei singoli Paesi Ue. Parigi si è affrettata a far sapere di considerare «il rallentamento tedesco più pericoloso della Brexit» in ragione del fatto che l’interscambio a cavallo del Reno è il triplo rispetto a quanto attraversa la Manica. Ma Roma è ancora più esposta a tale rischio perché la Germania è il nostro primo partner commerciale – e la Francia è il secondo – e dunque Macron si aspetta un sostegno attivo dal premier Conte, attorno alle indicazioni di Bruxelles. Tanto più che Madrid si è affrettata a sostenere le posizioni di Lagarde. C’è dunque un fronte del Sud che si sta manifestando, rafforzato dalle dichiarazioni rilasciate a Helsinki da Mario Centeno, presidente dell’Eurogruppo, e di Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione per l’euro, a favore di «stimoli all’economia e investimenti per combattere il rallentamento economico» da parte degli Stati che «ne hanno le possibilità fiscali». Ma a Berlino per il momento Merkel resiste, spalleggiata da molti Paesi del Nord. È questo l’inizio del dopo-Draghi.