È diventata famosa con il suo libro sulla catastrofe di Chernobyl, nel 1986, dovuta all’inefficienza ma prima di tutto all’ossessiva segretezza delle procedure nell’Unione sovietica. Poco fa c’è stato un incidente nucleare nella base di Severodvinsk nel Nord della Russia. E, ancora una volta, la vicenda è segreta. La Russia di Putin assomiglia all’Urss?
«Molte persone, specie le più anziane o di età media non riescono a immaginarsi un altro modo di vita rispetto a quello sovietico. Sono abitudini trasmesse da generazione in generazione. È difficile liberarsene. Nostalgia? Non saprei.
Certamente per molti la vita sotto il comunismo era più semplice. E quindi vogliono vivere come si viveva una volta. Vorrei però aggiungere l’elemento della repressione poliziesca, la brutalità delle forze dell’ordine nei confronti delle poche ormai manifestazioni dell’opposizione, specie a Mosca.
Ecco, si dice che i poliziotti che disperdono queste manifestazioni siano venuti da fuori. Pare che ai colleghi moscoviti non piaccia partecipare alla repressione delle proteste».
Intanto nelle elezioni amministrative dell’8 settembre il partito di Putin ha perso nella capitale un terzo dei seggi. Una speranza?
«Non ci facciamo illusioni. I democratici sono deboli. Prevedo un’ondata di repressione contro di loro».
Però, ci sono figure come Aleksiej Navalnyj, Lyubov Sobol,
Igor Zhukov.
«Una sola annotazione. Navalnyj, il più famoso fra gli attivisti, è una persona che ha perso troppe volte.
E poi parla solo dei ladri, di chi ha rubato. Certo, bisogna stigmatizzare la corruzione ma non è sufficiente. Navalnyj parla poco della democrazia ed è pure poco chiaro sulla questione dell’Ucraina».
Che invece per lei è dirimente.
Più volte ha detto che nutre speranze nel nuovo presidente Volodymyr Zelenskij, un comico...
«È un avvocato che ha scelto di fare l’artista. E comunque ha avuto un successo, è riuscito a ottenere uno scambio fra prigionieri di guerra con la Russia. È riuscito a riportare a casa i ragazzi catturati da Putin, proprio perché non è un politico di professione, non è uomo di potere cinico, ma un artista appunto, una persona per la quale le vite umane sono il valore più importante. Ora la sua posizione all’interno del paese e a livello internazionale è rafforzata ed è un bene, perché quella guerra voluta da Putin è orrenda e prima finisce meglio è. Vorrei che in Occidente si capisse che il vostro destino, il destino dell’Europa si gioca in larga parte in Ucraina. Ciò detto, penso che l’unica speranza di cambiamento, ovunque nell’ex Urss, è nella generazione di chi oggi ha a40 anni o meno (Zelenskij ne ha 41, ndr) e pensa più all’ecologia che alle armi e al patrio orgoglio».
Parliamo allora del patrio orgoglio.
«Una delle caratteristiche dell’Urss che persiste in Russia è la militarizzazione della vita. Mi ricordo un giorno che andai in visita a Mosca e trovai un grande negozio che vendeva divise militari per bambini. È grottesco. Ma oltre all’aspetto nazionalista è in gioco anche la segretezza di cui abbiamo parlato prima. Faccio un esempio: da noi a Minsk, in Bielorussia, non sappiamo come e perché il presidente Lukashenko prende certe decisioni. Non sappiamo da dove vengono i soldi di chi è al potere e con quali criteri vengono spesi e quanto denaro finisce nelle banche all’estero. Il fatto deprimente è che la gente si comporta come se le cose non dipendessero da tutti noi. Io chiedo alle persone: perché taci? Perché stai zitto? Mi rispondono: “Cosa possiamo fare? Siamo impotenti”.
Ecco, queste sono le vecchie abitudini sovietiche, quando la gente, ai tempi di Chernobyl non osava neanche chiedere delle medicine. Anzi, sono cose che risalgono all’epoca degli zar, quando al centro di tutto c’era il potere statale e non le persone».
Quello che sta dicendo riporta a una poesia di Lermontov, poeta romantico che recita “Addio Russia non lavata, paese di schiavi e padroni”.
«È così. È cambiato pochissimo da allora. Guardi le persone che scendono in piazza a Mosca, picchiate, buttate in prigione».
Putin però è amato. Gode di grande popolarità.
«Tanti anni fa eravamo dei romantici. Ci siamo illusi che la caduta dell’Urss portasse alla democrazia, che al potere ci sarebbe stata gente aperta al mondo, in grado di dare dignità alle persone. Abbiamo pensato che Stalin e i suoi tempi fossero il passato. E invece non era vero. Il passato è tornato ed è diventato il presente. E poi, c’è l’illusione dell’onore patrio riacquistato. La gente dice: prima nel mondo ci disprezzavano, ci umiliavano, ora ci temono. Putin sta ricostruendo una grande Russia e molte persone la vogliono. Abbiamo una forte cultura imperiale e un deficit di coscienza democratica. Non è facile abituarsi all’idea che le procedure democratiche sono complesse e che nella natura della democrazia ci sia il compromesso e non la forza brutale. E allora si resta affascinati dall’autoritarismo e dall’esercizio di mostrare i muscoli. Io giro per la Russia e sento quelle voci: ci avevano ridotto in povertà, con Putin ci siamo alzati dalle ginocchia».
Chi visita le città russe nota una mescolanza di simboli zaristi e bolscevichi messi l’uno accanto all’altro.
«Le due forme di sottomissione vanno insieme. Ma quella bolscevica era peggiore. Hanno distrutto la parte creativa, pensante, illuminata della nostra intellighenzia. Ne paghiamo ancora il prezzo».
Nei suoi libri dà sempre molto spazio ai racconti delle donne.
«Le donne hanno un altro rapporto con la vita e con la morte rispetto agli uomini. Quando le sento parlare, constato che hanno pietà anche per i nemici uccisi. Le donne sono autonome rispetto alla cultura della guerra. Per le donne quel che conta è la vita, perché loro danno la vita. Ecco perché ne parlo tanto».