la Repubblica, 21 settembre 2019
Il caso Trudeau e la perdita dell’ironia
Sghignazzare sì, sorridere no. C’è questo mutamento un po’ politico, un po’, come si dice, antropologico, un po’ scemo: se insulti va bene, se prendi in giro no. Siamo diventati più guardinghi e musoni, meno serafici e sorridenti: solo arrabbiati, mai spiritosi. Con l’idea sempre più contorta e astrusa di cosa sia corretto o no: non solo politicamente ma soprattutto personalmente. Si sceglie la scorrettezza perché è più facile una parolaccia di un pensiero, e c’è nei social questo piacere di palleggiarsi cattiverie, perché la gentilezza potrebbe essere radical chic : che poi anche quelli che radical chic si ritengono, stanno scivolando nel cattivo umore e nella voglia di aggredire. Impegnati a negare i benefici del fatuo e del buon umore che non sia sgangherato. Prendiamo Justin Trudeau, primo ministro del Canada, giovane, belloccio e tra i rari democratici al potere nel mondo: pareva una persona tanto brava e invece!!! Più di vent’anni fa, quando era un insegnante qualsiasi, a una festa in maschera ebbe la sfortunata idea di travestirsi da Aladino, tingendosi la faccia di nero. Non l’avesse mai fatto! Peggio che inventarsi di una piccina di Bibbiano da esibire come trofeo, molto peggio! E infatti l’integerrimo giovanotto che accoglie anche i migranti, rischia di perdere il consenso popolare: per una vecchia carnevalata vissuta quando era altro e prima che lo spettro del razzismo arrivasse a sconsigliare anche il cioccolato amaro 70%.
Vuol dire che noi italiani siamo più bonaccioni, più spensierati, e ci va benissimo che uno che pretende per sé tutta l’Italia da comandare, da ragazzo sognava di diventare una star della tv: come infatti è successo, anche se non per il nostro divertimento? Per quello che si autocelebra popolo italiano sì, anzi più ne vengon fuori di bestialità più l’amore cresce. Tutte storie appunto da sghignazzo furente, non certo soave sorriso. Anche la democrazia e la correttezza hanno però i loro difetti, a fin di bene si direbbe, ma poi non tanto.
Chi leggeva Flaiano o rincorreva le vignette di Novello, o quelle sui giornaletti, poteva divertirsi per l’intelligenza bonaria di certe prese in giro innocue, o che allora sembravano tali:il bottegaio ladro, la suocera rompiscatole, il marito becco, il carabiniere tonto, il bambino villano, la moglie col mattarello, il play-boy con la “r” moscia. Non erano offese e nessuno le prendeva come tali: erano vecchie tipologie divertenti, e le barzellette anche le più incivili le raccontavano certe dame illustri e tutti ridevano.
Oggi c’è quel maledetto Facebook che appena fai un passettino che per qualcuno potrebbe essere falso, scoppia il finimondo. Ad avere il coraggio di essere sinceri, e oggi ce ne vuole proprio di coraggio, si vorrebbero fare allegri commenti proprio per allegria, cui dovrebbe partecipare anche il bersaglio degli stessi.
Ma buon umore non c’è ne è più, la comprensione neppure, si aspetta solo l’aggressione per poter rispondere con l’aggressione, naturalmente, si spera, solo verbale. Si vorrebbe fare insieme qualche risata che non offenda nessuno, dirsi reciproche stupidaggini, addirittura scriverle: ma non si può, perché quel tipo di deviazione verbale che un tempo faceva sorridere, adesso mette a rischio la tua incolumità. La tetraggine e l’allerta induriscono i rapporti e se pur ammirando una finalmente capace ministra, tanto per giocare dici che indossa un vestito bizzarro, sei subito additata come feroce nazista. La censura sulla leggerezza è sempre più astiosa, la bugiarda cattiveria è la necessità del discorso.
Bisogna tornare a distinguere: tra il commento anche un po’ azzardato secondo i noiosi di oggi e la protervia pericolosa di chi, come Bruno Vespa (che forse l’intervista l’aveva pensata per compiacere il precedente governo macho), trasforma la vittima di stupro in complice del crimine, e il criminale in vittima dell’amore.