Tuttolibri, 21 settembre 2019
Le lingue parlate nel mondo sono 7.099
Comunicare l’un l’altro, scambiarsi informazioni è natura; tenere conto delle informazioni che ci vengono date è cultura», così scriveva Wolfgang Goethe. Infatti, la comunicazione, verbale e non, è alla base delle società umane, è indispensabile alla loro creazione, è funzionale al loro mantenimento, ne determina i cambiamenti e ne segna profondamente l’identità. Con un linguaggio quanto mai accattivante, senza mai perdere il rigore dello studioso, ma concedendosi anche qualche ironia Federico Faloppa, ci accompagna con Brevi lezioni sul linguaggio lungo un sentiero che percorre a zigzag il complesso e affascinante mondo della linguistica. Il libro spazia tra dati storici, quantitativi ed esempi etnografici, per dare risposte a molte domande che spesso ci poniamo e a cui non sappiamo rispondere. Che cosa è una lingua? Perché ci sono lingue differenti? E ancora quante sono le lingue parlate nel mondo? Una risposta possibile a quest’ultima domanda potrebbe essere 7099, in media più o meno una ogni milione di abitanti. L’autore però richiama subito all’attenzione sul numero, che non tutti condividerebbero. Per esempio, in Italia, paese dalla storia tormentata e frammentata, le parlate sarebbero trentacinque e parecchi linguisti declasserebbero molte di queste a semplici dialetti, ma la distinzione tra lingua e dialetto è tutt’altro che scontata, a meno di non fare nostra la definizione di Noam Chomsky, secondo cui: «Una lingua è un dialetto che ha un passaporto e un esercito». Resta comunque il fatto che la nostra penisola, come il resto del mondo, ha una varietà di parlate sbalorditiva. Non solo, mentre siamo abituati ad abbinare una lingua a una scrittura, scopriamo che solo 3800 di quelle esistenti sono scritte, le altre sono esclusivamente sonore, orali, un dato che ci dovrebbe fare riflettere sulla centralità che attribuiamo alla scrittura.
Con un percorso che riproduce in molti casi il tono colloquiale di una lezione, Faloppa ci accompagna tra gli schemi delle classificazioni linguistiche per famiglia, decostruendo peraltro il mito dell’«indoeuropeo», fonte più di equivoci che di spiegazioni, nei dedali della semantica e nelle sue possibili declinazioni culturali. Così scopriamo come termini di lingue diversi, che spesso traduciamo quasi automaticamente, in realtà ricoprono nelle rispettive lingue spazi semantici diversi. È il caso del termine vitello, che non è sovrapponibile con l’inglese calf, con cui spesso viene tradotto, ma che diversamente dall’italiano, ha un significato più ristretto, in quanto gli si oppone veal quando si fa riferimento all’animale morto, alla carne da cucinare.
Anche la sequenza soggetto-verbo-oggetto, tipica della nostra e di altre lingue non è universale, ma si possono costruire periodi usando un ordine diverso. Così come concetti o altre realtà che noi esprimiamo con una sequenza di parole distinte, possono essere raggruppate in un unico vocabolo, assolutamente impossibile da pronunciare, ma comune per un gallese, come Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch, che significa: «Chiesa di Santa Maria nella valletta del nocciolo bianco, vicino alle rapide e alla chiesa di San Tysilio nei pressi della caverna rossa».
Diversità, certo, ma anche molte analogie: per esempio, gli organi utilizzati per produrre suoni, sono gli stessi per tutti i popoli della terra: laringe, naso, lingua, palato, denti e labbra. L’apparato fonatorio umano è strutturalmente identico. La lingua in particolare è talmente indispensabile che in molti casi il termine utilizzato per indicare il «parlare» è proprio «lingua». Inoltre, scopriamo che tutte le lingue distinguono tra vocali e consonanti; così come hanno termini specifici per occhio, naso, bocca e altre parti del corpo quali braccio, mano, unghia; tutte le lingue hanno una costruzione negativa e modi adeguati per costruire frasi interrogative: siano essi mezzi cosiddetti paralinguistici – l’intonazione, come ad esempio avviene in italiano – o riguardanti la sintassi – un diverso ordine delle parole, come in inglese. La caratteristica principale è però che tutte le lingue possono produrre frasi di complessità, sulla carta, infinita, con l’aggiunta di un numero potenzialmente infinito di elementi per produrre strutture sempre più complesse.
Le lingue non sono solo espressioni fonetiche, ma organizzano le potenzialità sonore in un numero determinato di unità codificate dette fonemi. In pratica, una lingua non è solo un suono articolato, ma il prodotto di una selezione di unità sonore che trasformano il linguaggio da semplice suono in una composizione simbolica, realizzata con materiali limitati. In questo procedimento si può riscontrare una certa analogia con la composizione musicale. Anche in questo caso si parte da unità definite e limitate (le note) per produrre un flusso sonoro coerente, che esprime un’emozione o uno stato d’animo. È dunque la relazione tra fonemi a produrre il significato in una lingua.
Ogni lingua è un sistema simbolico che rinvia a un’esperienza diretta, ma questa esperienza può essere continuamente arricchita e a volte dare vita a proiezioni che vanno al di là della pura esperienza vissuta. Come tutti i fatti culturali, le lingue sono esposte ai venti della storia, si mescolano, prendo in prestito termini da altre lingue, ne formulano di nuovi – i noti neologismi – si rimodellano sul calco della realtà che cambia. Così come le lingue possono scomparire per cause diverse, che vanno dalla colonizzazione culturale all’estinzione dei parlanti.
Con un linguaggio accattivante – e non poteva essere diverso, visto che l’autore è uno dei più interessanti esperti di lingua – Federico Faloppa ci accompagna in un affascinante viaggio nell’universo fluido e cangiante delle lingue e della linguistica.