Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2019
Cina a caccia di carni suine
Dopo i ripetuti allarmi da parte delle organizzazioni degli industriali dei salumi di Italia e Francia è giunta ieri anche la certificazione da parte di Unioncamere e Bmti (Borsa merci telematica italiana). Secondo quanto emerso dall’indice dei prezzi all’ingrosso elaborato da Unioncamere e Bmti, ad agosto, si è registrata una forte crescita dei prezzi all’ingrosso delle carni suine pari al +8,7% rispetto al mese precedente. I rialzi, come denunciato dagli operatori, sono stati innescati dall’epidemia di peste suina africana che si sta registrando in Asia e in particolare in Cina ma anche in Europa dove sono stati colpiti soprattutto gli allevamenti di Romania e Bulgaria. Un’epidemia priva di effetti sulla salute umana ma devastante per gli allevamenti di suini. Si stima infatti che dall’inizio della crisi in Cina il patrimonio suinicolo nazionale abbia subito un taglio di ben il 20%. Un tale vuoto d’offerta in quello che è il principale paese produttore ma anche consumatore al mondo di carni suini, ha determinato secondo il ministero dell’Agricoltura cinese un rialzo dei quotazioni del 50% in un anno e non poteva non avere effetti a cascata anche sui mercati europei. D’altro canto nel primo semestre 2019 la domanda cinese ha causato anche un boom (+41,9%) dell’export di carni suine dalla Ue verso Pechino. Un grido d’allarme per le ripercussioni che possono derivare da un aumento incontrollato dei prezzi è stato lanciato nei giorni scorsi dal presidente di Assica (l’associazione degli industriali delle carni lavorate e dei salumi, oltre 180 imprese con un giro d’affari di 8 miliardi di euro 1,5 dei quali provenienti dall’export), Nicola Levoni. «La situazione del settore suinicolo – ha detto Levoni – è molto preoccupante e senza adeguamenti dei prezzi finali è a rischio la nostra filiera». Secondo Assica, per capire le dimensioni della crisi va rilevato che in Cina è stato finora abbattuto a causa della peste suina circa il 20% del patrimonio di 440 milioni di capi suini. Un danno ingente quindi e che a giudizio dell’associazione degli industriali italiani non ha eguali. «In più – ha aggiunto Levoni – in un mercato come quello europeo caratterizzato da consumi deboli (le stime della Commissione europea per il 2019 parlano di un -1,4% nel 2019) e da una produzione di carne suina stabile è difficile immaginare dinamiche dei prezzi più favorevoli almeno fino al 2020. Per l’industria di trasformazione il costo della materia prima – ha proseguito il presidente di Assica – rappresenta in genere circa il 50% e in alcuni casi il 75% del costo totale di produzione. Incrementi come quelli che si stanno registrando, +40% da marzo a oggi, rischiano, se non riconosciuti, di mandare in tilt il sistema. Queste condizioni mettono seriamente a rischio non solo l’eccellenza qualitativa delle nostre produzioni di salumeria, ma la continuità stessa delle produzioni e la stabilità produttiva dei salumifici e in ultima istanza dell’intera filiera di produzione».
Quella del mercato delle carni suine «È una situazione complessa che stiamo monitorando con attenzione – ha commentato ieri la ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova -. Gli uffici del ministero sono in contatto con le organizzazioni agricole e con la rappresentanza dell’industria di trasformazione italiana proprio per verificare le eventuali azioni da intraprendere».