Il Messaggero, 21 settembre 2019
Cosa fu la Breccia di Porta Pia
Quando, tempo fa, Papa Francesco proclamò che la Chiesa aveva sempre costruito ponti e non muri, qualche spirito irriverente si domandò cosa intendesse dire. Perché la storia di questa Divina Istituzione è costellata di bastioni protettivi: da quelli di Leone IV che ancor oggi, dopo vari rifacimenti, cingono la Città del Vaticano, a quelli altrettanto imponenti di Castel Sant’Angelo, dove, nel 1527, Clemente VII si rifugiò per sottrarsi dalla furia dei Lanzichenecchi. Naturalmente il Pontefice, che come molti suoi predecessori spesso si esprime per pedagogiche allegorie ed edificanti metafore, alludeva ai muri ostativi dell’egoismo razziale, ai quali opponeva i generosi ponti dell’integrazione solidale. Ma l’equivoco è in parte rimasto, e riemerge ogni volta che viene rievocato il potere temporale della Chiesa. Quasi ogni città, ad esempio, ha dedicato una via o una piazza al XX Settembre, di cui ieri ricorreva l’anniversario. Questa data, che per decenni è stata anche festa nazionale, rappresenta infatti la demolizione violenta di un muro papalino: quella effettuata dai bersaglieri italiani nel 1870 a Porta Pia, per entrare a Roma e unirla al Regno d’Italia. Ma come si arrivò a questo atto di guerra?
Bisogna partire da lontano. Il Papa non era soltanto il capo spirituale dei cattolici, ma il sovrano di uno Stato indipendente, le cui origini risalivano nientemeno che a Costantino, con una donazione che Lorenzo Valla aveva dimostrato esser un falso clamoroso, e che aveva ispirato a Voltaire la velenosa affermazione che «era stato costruito sulla frode e mantenuto con la violenza».
GIUDIZIOMa era un giudizio ingiusto. Lo stato pontificio si era costituito, come tutti gli altri stati, attraverso acquisizioni ora pacifiche ora belliche, ed aveva la stessa legittimità delle altre nazioni. Le uniche sue debolezze, durante il Risorgimento, derivavano dalla Storia, perché era un residuo anacronistico, e dalla geografia, perché era inserito nel bel mezzo del nuovo Regno d’ Italia. Tutti sapevano che prima o poi, Roma ne sarebbe diventata la capitale. Tutti, tranne il Papa.
Pio IX era un conservatore inflessibile, che dopo un fugace esordio riformatore era scivolato nel reazionarismo più radicale. Alle istanze moderate dei cattolici liberali aveva replicato proclamando il dogma dell’infallibilità ex cathedra, e pubblicando un Sillabo in cui condannava ogni timida forma di liberalismo. Infine, nell’affermare l’origine divina del suo potere temporale, fulminava di scomunica chiunque ne criticasse l’esistenza o ne minasse l’integrità. Non disponendo di un esercito adeguato, era pronto a rivolgersi alle potenze straniere per riceverne un aiuto militare.
L’aiuto gli venne da Napoleone III, imperatore dei francesi. Questo ambizioso e velleitario sovrano – che Victor Hugo definiva sprezzantemente Napoleone il piccolo- era stato determinante nella vittoria della seconda guerra di Indipendenza, e quindi nella successiva Unità d’Italia.
GRUPPITuttavia era vincolato ai più intransigenti gruppi cattolici che a Parigi lo sostenevano contro le periodiche congiure orditegli da vari gruppi ostili: il sostegno al Papa era anche un puntello del suo trono. Cosicchè, quando Garibaldi nel 1867 tentò con le sue truppe raccogliticce di invadere il Lazio, al famoso grido di Roma o morte, Napoleone inviò un contingente che inflisse a Mentana una dura lezione al nostro irruento patriota. E il Re, che aveva sottobanco favorito questa impresa, dovette aspettare tempi migliori.
Questi arrivarono tre anni dopo, quando Bismarck e Von Moltke strapazzarono l’esercito francese a Metz e a Sedan, catturarono l’imperatore e costrinsero Parigi a una pace umiliante. Privo della protezione transalpina, Pio IX dovette fronteggiare da solo le pretese del Regno d’Italia.
Vittorio Emanuele II gli fece pervenire – edulcorate da stucchevoli proclamazioni di devozione filiale, – delle offerte che in realtà erano un ultimatum: in cambio dell’annessione, avrebbe garantito al Papa onori e prerogative sovrane. Pio IX, ovviamente, rifiutò, e si appellò alla solidarietà straniera, che altrettanto ovviamente venne meno. Agli occhi della scaltra diplomazia internazionale, il Papa non contava più nulla.
Con il viatico di questa indifferente neutralità, il governo italiano programmò e attuò l’invasione.
SCARAMUCCEOltre cinquantamila uomini penetrarono nel Lazio, e dopo insignificanti scaramucce arrivarono davanti alle difese di Roma. Si trattava delle venerabili mura aureliane, ripetutamente rinforzate e modificate da numerosi architetti, compreso Michelangelo. Non erano in grado di resistere alle moderne artiglierie, ma costituivano pur sempre un baluardo efficace. Le truppe che le presidiavano erano composite: svizzeri, austriaci, irlandesi, tedeschi, belgi, tutti sotto il comando dell’austero generale Hermann Kanzler, che, da uomo d’armi e d’onore, auspicava una resistenza a oltranza. Ma Pio IX scelse una soluzione intermedia. Ordinò di sparare sugli aggressori, per dimostrare che cedeva solo alla forza, ma di cessare subito il fuoco, per evitare inutili spargimenti di sangue. Così, all’alba del 20 settembre 1870, l’esercito italiano cominciò a cannoneggiare Porta Pia. Bastò poco per aprire una breccia di trenta metri, attraverso la quale i bersaglieri fecero quell’irruzione celebrata, con la nostra consueta enfasi retorica, da quadri, illustrazioni e composizioni poetiche. In realtà i morti, da entrambe le parti, furono pochissimi, tanto da poter esser citati in una lapide che ne ricorda comunque la memoria.
Le truppe italiane si insediarono nei borghi, tra la sostanziale indifferenza della popolazione, occupata essenzialmente a nutrirsi e sopravvivere. Il Papa rifiutò ogni compromesso, e si ritirò sdegnosamente nella volontaria prigionia dei palazzi vaticani. L’anno successivo, Roma fu proclamata capitale del Regno.
Giuridicamente parlando, il Papa aveva ragione: si trattò di una conquista manu militari in violazione, tra l’altro, della Convenzione con la quale sei anni prima l’Italia aveva garantito l’integrità dello Stato Pontificio. Ma politicamente era un epilogo scontato, al quale Pio IX non si rassegnò mai. I suoi successori mitigarono, con lenta cautela, i vari interdetti lanciati contro l’Italia, i suoi governanti e gli stessi elettori. Si dovette aspettare Mussolini, «inviato dalla Provvidenza» per arrivare alla composizione dei Patti Lateranensi nel 1929. Il muro eretto dal Papa davanti a una Monarchia Parlamentare era stato sostituito da un ponte gettato, per ironia della sorte, al regime di un dittatore.