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 2019  settembre 20 Venerdì calendario

Intervista a Sebastian Vettel

SINGAPORE Al tramonto le luci dei grattacieli danzano in una foschia malvagia. È colpa degli incendi delle piantagioni di olio di palma nella vicina Indonesia se il cielo della Montecarlo d’Asia è dipinto di grigio. Sebastian Vettel siede su un divano con Charles Leclerc, giocano a un indovinello per un programma della tv finlandese. La stella del monegasco è luminosissima dopo la doppietta a Spa e Monza, quella del quattro volte campione del mondo è pallida. Chissà che non torni a splendere qui dove ha vinto quattro volte. «È una gara dura e spettacolare – racconta Seb —. Amo questo circuito dove non puoi permetterti errori, non sarà facile visto che sulla carta le piste da massimo carico non sono favorevoli per noi. Per fortuna non corriamo sulla carta e abbiamo portato aggiornamenti».
Sebastian, lei sta attraversando un periodo difficile. Quanto difficile?
«Non semplice ma neanche così disastroso, vedo troppi pessimisti in giro. A Monza ho sbagliato e sono il primo ad averlo ammesso. Gli errori capitano, non sto vivendo una stagione facile ma non la considero la peggiore».
Quando passa un brutto momento come reagisce?
«Mi guardo dentro e penso a dove ho sbagliato e a che cosa potrei migliorare».
Con Charles come va? Vi siete parlati per chiarire il caso delle qualifiche di Monza?
«Non svelo in pubblico ciò che ci siamo detti, andiamo avanti. Ma abbiamo parlato».
Parliamo di lei allora. Lo sa che si dice in giro? «Lascia la Ferrari a fine stagione, smette di correre». È così?
«Davvero non so da dove escano questi voci. Credo nascano da una mia battuta sulle regole 2021. A marzo, in Bahrein, ho detto: “Se dovessero cambiare in modo insensato potrei mollare”. Era una battuta, l’hanno trasformata in un romanzo».
Quindi continua un altro anno con la Ferrari?
«È chiarissimo, ho un contratto per il 2020. Non c’è neanche bisogno di parlarne. Non vedo motivi per lasciare. Amo correre e non ho ancora raggiunto il mio traguardo: vincere con la Ferrari. Dopo non so che cosa succederà».
Ha vinto tredici Gp.
«Ma non il Mondiale, e lo voglio».
Avrebbe potuto vincerne di più?
«Charles mi ha battuto nelle ultime due gare, quindi avrei potuto vincerle. E poi in Canada. Comunque al massimo sarebbero state 15-16, non 40. Siamo stati bravi a capitalizzare le occasioni».
Quindi pensa di non aver avuto la possibilità di lottare per il campionato fin qui?
«Nel 2017 e 2018 ho chiuso secondo ma lontano. Troppo per dire che era possibile lottare fino alla fine. Specialmente nella seconda metà della stagione siamo calati».
Delle cinque Ferrari che ha guidato quale era la più competitiva?
«La SF70H del 2017».
Perché?
«Era la migliore in griglia per tanti aspetti. Ma aveva un deficit di potenza rispetto alla Mercedes. Andava molto forte ovunque, soprattutto sulle piste dove serviva più carico. Con un po’ di cavalli in più avremmo potuto fare la differenza. Se quella macchina avesse avuto il motore attuale non ci sarebbe stata storia. Però purtroppo non si può trasferire la tecnologia moderna al passato, altrimenti con le macchine di adesso vincerei il Mondiale del 1990 con una mano sola».
Così non vale, infatti. Ci sembra di capire che il 2017 sia stata la sua stagione migliore in Ferrari.
«Venivamo da un’annata difficile. Cambiavano le regole e noi siamo stati bravissimi a interpretarle, al punto che quella monoposto è stata copiata un po’ da tutti».
Pensa di avere altre chance per lottare per il titolo?
«Se sono qui è perché ci credo».
Le difficoltà con le gomme sono legate al suo stile di guida?
«Non direi. Le gomme sono troppo sensibili e hanno finestre di utilizzo ristrette. Quando ti avvicini per superare perdi aderenza, scivolano, si surriscaldano. E non puoi più attaccare. In queste corse è diventata più importante la gestione delle gomme che la velocità pura, così si perde il dna della F1».
Quando vi siete accorti di non avere una vettura da vertice?
«Dopo 3-4 gare, abbiamo reagito ma c’è ancora tanto lavoro per colmare il gap».
Helmut Marko dice che per vincere in Ferrari bisogna essere anche bravi «politici». Sta preparando la sua campagna elettorale?
«Niente campagne, non diventerò mai un “politico”. Dico ciò che penso, che piaccia o no. L’importante è restare se stessi».
Quanti piloti avrebbero potuto vincere in Mercedes?
«Non mi piacciono questi discorsi. Sicuramente la Mercedes ha avuto la macchina migliore e ci sono tanti bravi piloti. Ma Lewis più di tutti ha meritato di essere su quella macchina. Ha vinto meritamente, solo Rosberg una volta lo ha battuto. Hakkinen ci ha messo tanto prima di vincere con la McLaren, Michael (Schumacher, ndr) anche prima di conquistare il primo titolo con la Ferrari. La fortuna te la costruisci».
Consigli per Mick Schumacher?
«Non ne ha bisogno. Impara velocemente, è un attento osservatore».
Di che cosa parla con Mattia Binotto?
«Principalmente di corse. A volte anche di famiglia e vicende personali».
Ha vissuto tanti cambiamenti in cinque stagioni a Maranello: la scomparsa di Marchionne, l’uscita di Arrivabene. Ha incontrato il presidente John Elkann?
«Sì, in fabbrica ed è venuto anche in pista. È un grande tifoso, ci dà tanto sostegno. Quest’anno non è andata come sperava, ma dobbiamo lottare fino alla fine e preparare bene il prossimo, dato che le regole resteranno uguali».
Ecclestone dice che il suo amico Sebastian dovrebbe scoprirsi di più al mondo, far vedere che è una persona interessante e sensibile.
«Belle parole. Con lui si ride un sacco anche se abbiamo visioni differenti della vita. Amo il suo humour».
Quanto è importante la famiglia nel suo mondo?
«Ho dei bambini piccoli. È la cosa più importante, penso sia così per tutti».
Programmi per quando lascerà la F1?
«Non lo so. Ora penso a correre e a vincere». Seb sa che deve sbloccarsi in fretta.