la Repubblica, 20 settembre 2019
Il teatro di Madonna
Una scarica di spari buca il sipario. La X di Madame X, appesa a un tendaggio di gelatina rossa, finisce a terra. Madonna batte a macchina dietro uno scrittoio. Look anni Sessanta, camicetta bianca, occhiali neri. “Gli artisti sono qui per disturbare la pace” si legge. A ogni tasto, una parola dello scrittore afroamericano James Baldwin diventa un gigantesco schizzo da proiettare sui muri della Howard Gilman Opera House, l’accademia della musica di Brooklyn stretta sotto una caserma con il marchio “40 acri di terra e un mulo” – a pochi metri sorge la società di produzione di Spike Lee che richiama la promessa fatta agli schiavi liberati dopo la guerra civile. Per il suo Madame X Tour, Madonna sceglie quel che resta della Brooklyn degli scontri razziali. Diciassette spettacoli fino al 12 ottobre, poi nuovi teatri. Duemila posti a sedere, cellulari e smartwatch sequestrati all’ingresso, una fila di tre isolati. Eppure i biglietti, dati per sold out, si trovano a 97 dollari (quattro volte di meno rispetto al costo ufficiale) un’ora prima dell’inizio. La cantante, 61 anni, doveva debuttare lunedì, salvo rinviare e presentarsi le notti dopo con novanta minuti di ritardo per chiudere all’una e mezza del mattino. Il brano d’apertura è God Control, tratto dall’ultimo disco Madame X.
Una bandiera americana di quindici metri cala dal soffitto. Entrano sei poliziotti con scudo antisommossa, un coro greco sale su una scalinata di marmo. «Quando ci sveglieremo, cosa faremo?» è la prima domanda che Madonna getta in pasto all’arena. La cultura delle armi in America, il business della sicurezza nei licei. Troppa politica? Ecco scendere una palla da discoteca. Madonna si stende su un pianoforte accompagnata da tre violiniste in tonaca da suora per una versione synth dello Schiaccianoci.
La regina del pop, 37 anni di carriera, dopo i primi club a downtown New York cerca ancora di reinventare se stessa. Ma assicura: «Non ci faccio nemmeno dieci centesimi con questo show». Ed ecco partire Express Yourself ( da Like a Prayer, 1989) con Madonna al bongo e un kimono di trapunte e disegni della Confraternita dei Preraffaelliti. Niente altoparlanti. Per qualche istante il palco è invaso da un chiarore lunare e lei sembra una di noi. La diva “astratta” e il suo sodalizio tra pop art e avanguardia non sono mai stati così lontani. «È straordinario guardarvi negli occhi» dice, «amo i teatri, gli occhi sono la finestra dell’anima. Venite un po’ sotto la luce... Ma li usate i miei prodotti di bellezza?». Risate dal pubblico. Si beve tre birre seduta sulle ginocchia degli ospiti, si lascia andare a confidenze sulla sua vita sessuale («mi do sempre da fare...»). Cambio di costume in scena, arriva la mitica Vogue. I capelli ora sono neri. «Madame X è anche un’istruttrice di cha cha, una professoressa, un capo di stato, una casalinga. E soprattutto una santa». In ginocchio, in mezzo a noi, tira fuori una macchina fotografica a stampa istantanea e si scatta un selfie: «Abbiamo un acquirente?”» chiede in giro. «Questa polaroid è unica e rara dato che, per una volta, vi hanno tolto i fottuti cellulari». Battuta all’asta per mille dollari in contanti («Solo cash, niente monete, nel mio corsetto non ci stanno»). Il momento di Papa don’t Preach apre a un monologo sul diritto all’aborto: «Siete dell’idea che una donna abbia il diritto di scegliere per se stessa, anche quando resta incinta dopo uno stupro?». Dalle chitarre di American Life, scritta in era Bush, a Batuka, omaggio alla tradizione matriarcale di Capo Verde. Al termine di Come Alive, Madonna passa alla schiavitù. «Non sono qui per essere benvoluta, sono qui per essere libera. Anche il razzismo è schiavitù». Il monito è sulle note finali di Future : «Non tutti possono conquistare il futuro se non hanno imparato dal passato». Pugno chiuso rivolto al cielo, «potere al popolo» è l’ultimo ruggito prima di attraversare il teatro. E guardarci tutti negli occhi, un’ultima volta.