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 2019  settembre 20 Venerdì calendario

Storia degli esuli italiani in America

E cosa volete mettere se non l’immagine di Mazzini? Volete mettere una donna nuda?». Basta dunque con le discussioni! Con il suo sense of humour, il sessantaseienneGaetano Salvemini pose fine a tutte le diatribe. Da giorni gli espatriati, così Mussolini aveva ribattezzato con disprezzo gli esuli antifascisti, da un punto all’altro degli States si scambiavano lettere di fuoco e dibattevano se nel logo della neonata Associazione fosse meglio l’effigie dell’Italia turrita, di Giuseppe Garibaldi o del fondatore della «Giovine Italia». 
Con il giudizio tranchant di Salvemini i dotti e litigiosi professori - come Lionello Venturi che insegnava a Baltimora dopo essere stato uno dei dodici docenti che si erano rifiutati di prestare giuramento al fascismo e Giuseppe Antonio Borgese che, inviso al Duce, si era trasferito a Chicago - arrivarono a un accordo. Ottant’anni fa, esattamente il 24 settembre 1939, questi studiosi, insieme a un gruppo di intellettuali e politici italiani appartenenti a Giustizia e Libertà (Michele Cantarella, Roberto Bolaffio, Renato Poggioli, Carlo Tresca e Tullia Calabi in procinto di convolare a nozze con Bruno Zevi), nella cittadina di Northampton nel Massachusetts, diedero vita alla Mazzini Society. Il nome inglese era stato voluto dal professore di storia, celebre per aver attaccato Giolitti come «il ministro della mala vita»: era un omaggio al Paese che aveva generosamente accolti gli oppositori del Mascellone. La Società, con il suo periodico Mazzini News, non fu solo un mezzo di pressione degli antifascisti italiani sul governo americano ma fu anche una straordinaria fucina di idee repubblicane e liberali. Rappresentò un patrimonio culturale e politico che l’emigrazione italiana alla fine della guerra portò nello Stivale e costituì un capitale per tanti ex esuli, come Salvemini nella sua collaborazione a Il mondo, Nicola Chiaromonte quando fondò Tempo presente e Max Ascoli nel creare The reporter . 
La sorte dell’ "espatriato" Salvemini era stata decisa dalla pubblicazione del foglio clandestino Non Mollare. L’aveva concepito con gli amici più giovani Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli. Arrestato dalla polizia fascista nel 1925, in seguito all’amnistia voluta dal Duce riuscì a fuggire in Francia e in Inghilterra per poi approdare all’università di Harvard dove maturò il progetto dell’associazione mazziniana. Tra i primi ad aderire alla Società fu il ferrarese Ascoli che, nel 1949, divenne con The reporter il punto di riferimento di economisti come John Kenneth Galbraith - consigliere di Franklin D. Roosevelt, John Fitzgerald Kennedy -, come il segretario di stato Henry Kissinger e come lo studioso del liberalismo Arthur Schlesinger jr. autore dei discorsi cosiddetti della «Nuova frontiera» di Kennedy. 
Nel 1941 si presentò nella sede della Mazzini Society un altro esponente di spicco del pensiero socialista e liberale, Nicola Chiaromonte, che aveva stretti legami con Hannah Arendt, Albert Camus e George Orwell. Tornato in Italia Chiaromonte si sentì esule in patria: era ostile ai compromessi che nel dopoguerra legavano gli intellettuali ai partiti politici e con Tempo presente si batté per una terza via culturale oltre ogni clericalismo (pubblicò scritti di don Lorenzo Milani) e ogni autoritarismo di sinistra. 
Nel 1940 il conte Carlo Sforza, futuro ministro degli Esteri, giunse negli Usa e, forte dell’appoggio della Società, inviò una lettera al generale Edwin Watson, segretario del presidente Roosevelt, per sollecitare la creazione di una legione di volontari italiani agli ordini di Randolfo Pacciardi che era stato a capo delle Brigate internazionali nella guerra di Spagna. 
Il più famoso adepto della Mazzini Society fu Arturo Toscanini. Nel 1931, il maestro a Bologna, si era rifiutato di eseguire l’inno Giovinezza al cospetto di Leandro Arpinati e di altri gerarchi ed era stato schiaffeggiato e preso a pugni dai seguaci del Duce. E in America fu la vera star di riferimento della società mazziniana che ebbe anche una sezione femminile (Women’s Division): vi aderì Amelia Pincherle Rosselli, madre dei fratelli assassinati dal regime. La Rosselli fu la consigliera delle più giovani simpatizzanti, come Tullia Zevi, arpista presso la New York City Symphony Orchestra. Emigrata per sfuggire alle leggi razziali, la Zevi rientrerà in patria nel 1946, diventerà una nota giornalista per le sue corrispondenze da Norimberga e nella sua casa romana accoglierà nel 1962 Pietro Nenni, Giuseppe Saragat e l’amico degli anni americani Schlesinger jr. che intervenne presso Kennedy affinché gli Stati Uniti dessero la loro benedizione all’ingresso del Partito Socialista Italiano al governo. 
Alla Società non mancarono i nemici: don Sturzo non ne apprezzò il tratto laico: «Io, cattolico, non posso mettere per insegna della mia attività il nome storico di un anticattolico, quali ne siano i meriti, che ho riconosciuto non da ora ma da tempo». Ed Emilio Lussu giunse a New York per convincere i dirigenti della Mazzini Society ad allearsi con i comunisti. Ma non ebbe successo. Nel 1944 su Life fu pubblicato con grandissimo rilievo l’appello «Freedom for Italy now» firmato dai più autorevoli membri dell’associazione. 
Nel 1949 gli antifascisti della Mazzini erano rientrati quasi tutti, e Salvemini s’immerse nella lotta politica trasferendo sulle colonne del Mondo le suggestioni degli anni di Harvard, avversando ogni tipo di dogmatismo, gli eccessi della burocrazia, il «pescecanismo» dei politici e gli schieramenti ideologici. Erano questi i principi che, insieme all’ispirazione mazziniana e risorgimentale, erano stati proprio il fondamento dell’Associazione di Northampton.