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 2019  settembre 19 Giovedì calendario

Periscopio

Ora spunta un nome, ora ne spuntano altri. Una lista spuntata. Uffa News. Dino Basili.Salvini, dopo aver fatto cadere il governo e tentato un’imbarazzante retromarcia offrendo la presidenza del consiglio a Di Maio, è stato degradato sul campo: da capitano a sottotenente. Ora avrà tempo per meditare sugli errori commessi e ripassare le regole del gioco. La prima è che i contratti si rispettano: in politica, nell’alta finanza e anche al bagno Papeete, tra sdraio e ombrelloni. Paolo Boldrini. Gazzetta di Mantova.
Se mi si chiede se la mia patria è il mondo rispondo con l’ultima frase del mio libro appena uscito. È di Sviatoslav Richter: «Ogni cittadino del mondo ha due patrie, la propria e l’Italia». Quindi io sono fortunato perché ho l’Italia e l’Italia. Riccardo Muti (Pietro Visconti). La Libertà.
Dio vincerà il male perché nessun’altra religione proclama beati gli ultimi, quelli che del male sono vittime. Il Discorso della montagna delinea la forma più alta di amore. Pupi Avanti, regista (Davide Milani). Quotidiano nazionale, Qn.
Si è fatto mandare della terra dagli Usa perché il figlio nascesse su suolo texano, anche se in realtà è venuto alla luce all’ospedale San Bortolo di Vicenza. Una scelta d’amore per le radici, quella del parà americano Tony Traconis, che abita a San Pietro in Gu ed è di stanza alla caserma Del Din. Il Mattino di Padova.
In Paradiso si discute del nuovo governo. «A Giulio non piace “Giuseppi” (irrompe Francesco Cossiga mentre sperimenta in cuffia un nuovo collegamento 5G), perché sembra si tinga i capelli». Andreotti: «Vedo che continui ad amare i pettegolezzi! Come quando chiedevi al povero De Michelis se avesse avuto un flirtino con Lady D, per andare poi a spifferarlo alla tua amica Margaret Thatcher, a cui mandavi rose rosse». Luigi Bisignani. Il Tempo.
Invece delle pregustate elezioni, Matteo Salvini ha subito un micidiale cappotto in piena estate. Come si era illuso, benedett’uomo, che gli lasciassero buttare all’aria la legislatura ad appena 400 giorni dall’inizio? Mai una legislatura è durata meno di 700 giorni. E, se finiva, era uno psicodramma. La più corta fu l’undicesima (aprile 1992-aprile 1994) detta degli «inquisiti», durante Tangentopoli. All’alba di ogni giorno, un politico era incriminato. La casta sfuggiva i suoi palazzi dove all’uscio stazionava una folla che gli faceva «buuu». Qualcuno si suicidò, molti si ammalarono e il parlamento fu sciolto dopo 722 giorni. Brevissima fu anche la quindicesima legislatura. Durò 732 giorni. Era in sella il governo Prodi II, accozzaglia litigiosa di ex comunisti e centristi. L’avventura fini nell’assurdo: indispettita per cavoli suoi, la magistratura incriminò (a torto) il suo ministro di riferimento, il guardasigilli, Clemente Mastella. E si tornò alle urne. Giancarlo Perna. LaVerità.
Sotto le maschere più o meno patetiche o grottesche dei suoi protagonisti si è giocato in questa crisi (che poi è sfociata nel governo Conte-bis) un dramma tremendamente serio. Altro che semplice crisi di un governo e trattative per costruirne un altro. Aspetti fondamentali dell’azione politica nel nostro Paese e del modo più in generale in cui questa viene intesa sono venuti, direi brutalmente, alla luce. Anzitutto, è evidente che la «visione del mondo» ormai quasi naturalmente condivisa è quella per cui la politica è l’arte dell’assoluto trasformismo. In lontani decenni ciò veniva denunciato come uno dei suoi mali. Ora viene accettato senza colpo ferire. Anzi: i suoi più spregiudicati interpreti sono ritenuti i politici più intelligenti e abili. È un machiavellismo da stenterelli, è evidente, un machiavellismo senza virtù e senza fini, ma la sua debolezza, per così dire, teorica, non ne inficia per nulla il valore pratico. Massimo Cacciari, filosofo. L’Espresso.
Giunsi in Inghilterra negli anni 50. Era un paese che faceva fatica a riprendersi. Londra era una città cupa e povera. Dai vestiti al mangiare, non si trovava nulla. Ricordo che mia sorella mi spedì una cassetta di arance. Fu un evento che scalfì la durezza del momento che attraversavo. Venivo da Parma, una città a misura della gente. Frequentavo, malgrado la giovane età, Attilio Bertolucci, Enrico Medioli, Luigi Magnani. Una provincia colta ma asfittica. E a volte maldicente. Londra era l’esatto opposto e all’inizio ne ebbi paura. Gaia Servadio (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Filosofo. Antropologo. Psicologo. Psicoanalista. Sociologo. Dal professor Umberto Galimberti ti aspetteresti un eloquio iniziatico all’altezza delle materie che ha insegnato, compendiate nelle 1.637 pagine del Nuovo dizionario di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (Feltrinelli), alla cui stesura ha faticato per 15 anni. Invece parla ancora come «il numero 8» (si definisce così) dei 10 figli di Ernesto, ex partigiano, venditore di cioccolato Theobroma improvvisatosi impiegato bancario, che in un paio di locali aprì a Biassono la prima agenzia del Credito artigiano e morì di tumore il giorno dell’inaugurazione. «Da bambino andavo in ufficio ad aiutarlo: mi faceva timbrare gli assegni. Avevo 14 anni quando mancò. Sognavo di diventare medico. Ma due borse di studio mi spalancarono le porte di Filosofia alla Cattolica di Milano. Lì trovai i miei maestri: Gustavo Bontadini, Sofia Vanni Righi ed Emanuele Severino, con il quale mi laureai. C’erano anche Gianfranco Miglio e Francesco Alberoni. Poi lavorai per tre anni nel manicomio di Novara, dove conobbi il primario Eugenio Borgna. Fui io a obbligarlo a scrivere, prima non lo conosceva nessuno. Li sento ancora, Severino e Borgna. Ci vogliamo molto bene. Non ho mai capito il parricidio. Umberto Galimberti (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Degas si faceva leggere dalla sua domestica e cuoca Zoè i romanzi di Dumas padre, I tre moschettieri, Il visconte di Bragelonne. Se ne stava immobile davanti alla tavola sparecchiata ad ascoltare quella voce che dispiegava per lui la successione delle avventure del popolo francese. Sono convinto che non avesse alcun attaccamento per il parlamentarismo e il laicismo moderno. Edgar Degas, pittore (Stenio Solinas). Il Giornale.
Gli scappa la pipì, la fa sul muro di un edificio in pieno centro di Feltre proprio mentre passano i carabinieri. Stangata per un feltrino di origine tunisine che si è visto multato per 5 mila euro, cifra confermata dal giudice di pace. In più altri 100 euro per una bestemmia. Corriere delle Alpi.
La vita mi ha dato tutto e mi ha tolto il resto. Roberto Gervaso. Il Messaggero.