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 2019  settembre 19 Giovedì calendario

I magistrati si picchiano ogni giorno

 Forse la magistratura ha un cancro: lo dice una magistratura in metastasi sino ai capelli, anzi, neanche, a ben vedere lo dice qualche magistrato che pensa di scoppiare di salute. Va così: nessun potere si riforma da solo (potrebbe farlo solo il potere politico, se preso a calci dal voto popolare) e quindi figuratevi lo spettacolo che sta offrendo il più irriformabile dei poteri italiani, preso dalle – sai che roba – elezioni suppletive del Consiglio superiore della magistratura. Accade mentre la stessa magistratura attraversa la crisi di autorevolezza peggiore della sua Storia, crisi rigorosamente auto-procurata a margine della quale fioccano scandali (caso Palamara, a Perugia) dove alcuni magistrati indagano su altri magistrati accusati di aver favorito o danneggiato altri magistrati. Intanto va registrato che un altro membro del Csm, Paolo Criscuoli di Magistratura Democratica, si è dimesso da consigliere dopo esser stato tirato in ballo nell’inchiesta della procura di Perugia sui condizionamenti delle nomine giudiziarie. La crisi continua, dunque, e ciononostante delle elezioni del Csm non frega mediamente a nessuno, proprio perché appannaggio di burocrati che nessuno o quasi conosce e che sono auto-riferiti, non eletti se non da se stessi, invischiati nella propria corporazione e abituati a cantarsela, suonarsela e arrestarsela. Parliamo della magistratura di potere, quella correntizia e para-politica, quella al centro di manovre dove il controllo mediatico-sociale è ridotto al minimo. E veniamo al cancro, e a chi lo tira in ballo. Siccome ci sono queste elezioni suppletive, la sparata l’ha fatta l’evanescente pm Antonino Di Matteo (bisogna sempre scrivere «minacciato dalla mafia», come se fosse un titolo gerarchico) nel presentare la propria candidatura presso l’Associazione nazionale magistrati. Ha detto: «L’appartenenza a correnti o cordate è diventato l’unico modo per fare carriera, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso». E dopo che l’ha detto? «La magistratura è pervasa da un cancro che si sta espandendo, i cui sintomi sono evidenti: la burocratizzazione, la gerarchizzazione degli uffici, il collateralismo con la politica, la degenerazione correntizia». E dopo che l’ha detto? È noto da almeno quarant’anni, ma i magistrati non sono abituati a ricordarlo se non, appunto, in sede di comizio pre-elettorale a uso interno. Di Matteo – uno dei palloni più clamorosamente gonfiati dal sistema mediatico – poi ovviamente ha aggiunto che la magistratura è «l’avamposto più alto di difesa della Costituzione rispetto alla volontà di poteri striscianti, non solo illegali, di limitare autonomia e indipendenza e renderla collaterale e servente rispetto alla politica». L’avamposto più alto: basta dirlo. E i poteri striscianti, sempre loro, sempre lì che strisciano come dei boa da decenni, poveracci.

DIFESA DI CASTA
Vabbeh, soluzioni? «Non serve una riforma punitiva del Csm, ma bisogna dargli l’autorevolezza di organo costituzionale senza distinzioni legate all’apparenza o al gradimento politico». Notare come «politico» sia ormai una parolaccia, benché – pur lontanamente – sia ancora un’espressione riconducibile al voto democratico. Invece «l’avamposto più alto» è riconducibile solo a se stesso, una volta vinto un concorso. Ma dicevamo: soluzioni? Di Matteo si detto contrario all’ipotesi di sorteggio per l’elezione dei togati, proposta fatta anche da alcuni colleghi: «È incostituzionale. È inammissibile che magistrati che decidono su ergastoli e patrimoni non possano avere competenza per eleggere i consiglieri del Csm». È anticostituzionale: lo dice Di Matteo. «Dobbiamo avere il coraggio di dire che quanto è emerso dall’inchiesta di Perugia non ci deve stupire». Cioè: devono trovare il coraggio di dire che non sono stupiti. Sai che coraggio che ci vuole. In estrema sintesi, la sparata di Di Matteo non è altro che la solita difesa senza se e senza ma dell’autonomia della magistratura. Ha il cancro, ma si curerà da sola. Come? Boh. La sparata di Di Matteo non ha neppure il pregio di un’originalità lessicale. «Le correnti della magistratura sono il cancro che la divora», scriveva l’ex magistrato Bruno Tinti il 5 giugno scorso su Italia Oggi, giornale dove ha preso a scrivere dopo un bisticcio col Fatto Quotidiano del suo amico Marco Travaglio. La differenza tra Di Matteo e Bruno Tinti – in realtà sono tantissime – è che quest’ultimo ha spiegato in lingua addirittura italiana che cosa voleva dire, cioè come e perché la metastasi pare ormai irreversibile. Certi magistrati – ha spiegato – si fanno militanti (convegni, manifestazioni) e parlano molto, si candidano a tutto (consigli giudiziari, giunte dell’Associazione nazionale magistrati, il Consiglio centrale dell’Anm) e va da sé che il lavoro giudiziario passa in secondo piano: presenzialismi, riunioni e campagne elettorali hanno la meglio.

MILITANTI PREMIATI
«I magistrati finiscono con dividersi in due categorie: gli spalatori (che spalano fascicoli) e gli scalatori (che scalano la piramide degli incarichi)». Insomma, «il lavoro, specie quello del magistrato, è davvero premio a se stesso. C’è chi vuole fortissimamente fare carriera e cerca strade alternative… Da qui le correnti». E chi vota per la corrente ne sarà tutelato e favorito. Infatti due terzi dei magistrati votano per questa o quella corrente. Le qualità professionali non contano: più si è scalata la corrente, più il premio è alto. Esempio massimo? Lo stesso Csm, di cui nessuno che non fosse un correntizzato (mai, proprio mai) ha fatto parte. I consiglieri uscenti, peraltro, ottengono sempre posti di grande importanza: se sono qualificati bene, se non lo sono fa lo stesso. Questo sappiamo e scriviamo noi (da una vita) ma l’ha scritto appunto e per esempio anche Bruno Tinti, che della magistratura non fa più parte. Una sola cosa Tinti non ha scritto: che, per fare carriera, c’è anche un altro modo contestuale al correntismo; ossia fare il militante antimafia o «anti» in generale, pompato dai media con cortine di fumo mediatico che prescindono dagli esiti risultati giudiziari ottenuti. E qui si torna a Di Matteo e al suo cancro.