Corriere della Sera, 19 settembre 2019
Petrolio tra hi-tech e geopolitica
Nel 1973-74, il prezzo del greggio balzò da 11 a 37 dollari per barile, in seguito all’embargo sulle esportazioni dichiarato dai Paesi arabi produttori di petrolio che così risposero alla guerra dello Yom Kippur tra Israele da una parte ed Egitto e Siria dall’altra. La fuga dello Scià di Persia Reza Pahlavi e la presa del potere in Iran da parte dell’ayatollah Khomeini fecero poi volare il costo del barile a quasi 65 dollari (in termini reali) nel 1979-80. Nel primo caso, il prezzo triplicò, nel secondo raddoppiò: con conseguenze pesanti per le economie occidentali in termini di inflazione e stagnazione economica concomitanti. La geopolitica ebbe un effetto dirompente e diretto sulle economie. Di fronte alla crisi di questi giorni nel Golfo Persico, ai sequestri di petroliere da parte dell’Iran e agli attacchi agli impianti di produzione che hanno bloccato più di metà dell’estrazione saudita, il riverbero sui prezzi è stato decisamente minore: un 20% di rialzo iniziale dei prezzi del greggio in parte poi recuperato. La geopolitica del momento non è meno tesa di quella di quarant’anni fa: viene dunque da chiedersi cosa sia cambiato. In buona parte, le economie occidentali hanno razionalizzato l’uso di energia, soprattutto grazie a impianti industriali e di produzione di elettricità molto più efficienti. C’è stata una certa diversificazione delle fonti di energia e il mondo è un po’ meno dipendente dal petrolio. Soprattutto, però, è successo che sul mercato sono entrati potentemente gli Stati Uniti grazie al petrolio estratto con la tecnologia a fratturazione idraulica (fracking). Nel 2018, gli Usa sono stati il primo produttore di petrolio, con il 16,2% dell’estrazione mondiale, seguiti dall’Arabia Saudita (13%) e Russia (12,1%), secondo le statistiche della Bp. Nel 2018, la produzione americana di greggio è salita di 2,5 milioni di barili al giorno e nel 2019 di 1,7 milioni stimati (dati Unione Petrolifera). Soprattutto, gli Stati Uniti sono diventati esportatori molto significativi: nel 2012 il loro export di greggio era praticamente a zero, oggi è a 3,4 milioni di barili al giorno e in crescita, superato solo da quelli di Arabia Saudita (6,7 milioni), Russia (4,5 milioni) e Iraq (quattro milioni). È uno dei casi in cui la tecnologia (il fracking in questo caso) ha attenuato, almeno per ora, gli effetti della geopolitica.