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 2019  settembre 19 Giovedì calendario

Comprare cibi sfusi. Come negli anni Sessanta

È stato il boom economico degli anni ’60 a decretare la graduale fine della vendita dei prodotti sfusi nel nostro paese. La nascita dei primi supermercati all’«americana» e le popolarissime réclame di Carosello fecero scoprire agli italiani la fascinazione dei prodotti di marca, la magia dei lunghi banconi carichi di scatole di cartone e flaconi di plastica. Ma per molti anni nel Belpaese tutto (dalla frutta all’olio, al vino e alle sigarette) si vendeva sfuso: niente plastica o cellophane, ma cartocci confezionati dai negozianti con carta paglia, carta pane, carta oleata, carta da zucchero. Per i liquidi, come vino ed olio, ci pensavano i clienti a portarsi le bottiglie da casa. E dai grandi sacconi di tela o juta sgorgavano legumi e grani. Poi, la Rivoluzione del commercio, l’infatuazione per le Grandi Marche (che comunque facevano pagare ai consumatori il costo del packaging e della pubblicità), la «igienizzazione» dello smercio dei prodotti alimentari hanno cambiato tutto. Fino ad oggi: complice la crescente attenzione di cittadini e famiglie per l’ambiente, ma soprattutto per il devastante costo economico ed ambientale del packaging (a cominciare dalla ormai tenutissima plastica) la tendenza si è invertita. E lo «sfuso» sta gradualmente riconquistando spazi, trovando consumatori sempre più interessati e molte catene commerciali pronte a rispondere alla domanda di prodotti sfusi, che consentono agli acquirenti di comprare quantità «libere» e risparmiando sul costo del confezionamento. Una tendenza colta anche dal governo, che nel progettato decreto clima ha previsto un bonus per chi compra sfuso. 
Vero è che per adesso i prodotti non confezionati sono ancora una Cenerentola negli acquisti. Lo dimostrano le 2,1 milioni di tonnellate di plastica usate per gli imballaggi ogni anno in Italia, di cui secondo i dati Wwf il 76% appartengono al settore Food & Beverage. 
Eppure, secondo uno studio della Coldiretti il 44% degli italiani si vuole impegnare nella lotta al cambiamento climatico anche riducendo gli acquisti di prodotti con imballaggi eccessivi. Per adesso, trovando però un’offerta ancora piuttosto modesta di negozi pronti a soddisfare questa domanda, che rifiuta il modello dominante di «mono-miniporzioni» per single, gli imballaggi ingombranti, i sette strati di cellophane in cui sono avvolti i cibi, le bottigliette d’acqua da 33 cl, con plastica per sole quattro sorsate.
Fatto sta che dal Nord al Sud sono sempre di più i punti vendita che vendono almeno una parte dei prodotti sfusi, tra cui andrebbero contati anche i banchi dei mercati rionali, le drogherie e i negozi etnici. Qualche nome: Mamma Natura e l’Angolo DiVino a Milano, Verde Sfuso a Genova, Mille Bolle a Mantova (detersivi); Sacco Matto a Torino; Effe Corta a Milano, Padova, Capannori e Prato (dove c’è anche Fuori dalle Scatole); Ettogrammo a Verona; Verde Serre a Reggio Emilia; Bio al sacco a Pisa; Pesonetto a Pesaro; Saponando a Roma, ProSud a Napoli; Tutto Sfuso ad Altamura; La Bottega del Pulito a Potenza; Quanto Basta a Spezzano della Sila. 
Un esempio virtuoso e più «organizzato» è quello degli imprenditori torinesi di Negozio Leggero – premiati anche come #GreenHeroes dell’economia sostenibile dall’attore Alessandro Gassmann e da La Stampa-Tuttogreen – che dal 2010 a Torino vendono caramelle, caffè, cereali, farine, legumi, pasta, spezie, vini, detergenti, prodotti per l’igiene personale e trucchi. Tutto sfuso, con un successo commerciale clamoroso che ha portato - da Palermo a Parigi - all’apertura di 15 punti vendita. Oppure, la catena di prodotti biologici NaturaSì, che dopo aver eliminato le bottiglie di acqua in plastica dagli scaffali, aver scelto i sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta, e avviato la vendita sfusa di detersivi certificati ICEA, ha cominciato a vendere nei suoi supermercato bio oltre 22 prodotti - riso, farro integrale, quinoa, avena, miglio, fagioli, ceci, lenticchie rosse, piselli spezzati, zuppe, mandorle sgusciate, nocciole sgusciate, muesli, fiocchi d’avena, semi misti, frutta secca - senza confezioni tradizionali, ma con appositi erogatori per lo sfuso. Un’operazione che costa - e non poco - all’azienda, ammette il presidente di EcorNaturaSì Fabio Brescacin. Ma che elimina più di 6.500 chili l’anno di plastica per le piccole confezioni, riduce il consumo di acqua e le emissioni, e soprattutto fa risparmiare il 10 per cento sul prezzo dei prodotti senza confezione ai consumatori. Che possono trasportare gli alimenti erogati alla spina in sacchetti lavabili e riutilizzabili per sfusi, realizzati in cotone bio con trattamenti ecologici del tessuto.