Ed è così da decenni.
«Esatto. Per quanto riguarda l’istruzione e la salute, da decenni l’unico trend è positivo. Dall’inizio del millennio, il tasso di mortalità infantile è diminuito a un ritmo mai registrato prima. Ancora nel 2000 morivano circa dieci milioni di bambini nei primi cinque anni di vita, ora è la metà. Mai come ora così tanti bambini e giovani nei Paesi in via di sviluppo hanno avuto accesso all’istruzione. Con strumenti quali il Fondo globale per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria, il mondo ha fatto passi da gigante. Fin dalla sua istituzione, il Fondo ha salvato 26 milioni di vite. Abbiamo ancora molto da fare ma il bicchiere è mezzo pieno».
Che cos’altro deve succedere?
«Essenzialmente tre cose. Dobbiamo migliorare ancora nel portare l’aiuto laddove è necessario. Gli Stati devono aumentare la loro spesa per l’aiuto allo sviluppo. E da dieci anni che le cifre degli aiuti, che i Paesi danno in percentuale del loro reddito nazionale lordo ristagnano. E abbiamo bisogno d’innovazione ad esempio, di un vaccino contro l’Hiv».
Ma il cambiamento climatico è un problema, giusto? Non rende ancora più difficile raggiungere i vostri obiettivi?
«Assolutamente. Nell’Africa Sub-sahariana, nei Paesi poveri, circa il 40% dei bambini è malnutrito.
Spesso i loro genitori sono semplici contadini. Sono 700 milioni i contadini in quella condizione. Si calcola che nel 2040 il numero dei raccolti distrutti da eventi meteorologici estremi sarà raddoppiato rispetto oggi. E negli altri anni, i raccolti saranno più scarsi a causa dei cambiamenti climatici».
Se ne sente parlare poco nel dibattito generale.
«Sì. Raramente si parla degli aggiustamenti che deve fare chi non può scampare il cambiamento climatico. E quando se ne parla, il riferimento è in generale all’innalzamento del livello del mare e alle conseguenze per le popolazioni costiere. La conseguenza peggiore del cambiamento climatico per le persone più povere è il non poter coltivare tutto il cibo che serve loro».
Che cosa si può fare?
«Abbiamo sicuramente bisogno di più innovazione nelle sementi, in modo che le persone possano mantenere stabili o aumentare i raccolti anche quando c’è meno acqua e salgono le temperature.
Dobbiamo destinare molte più risorse alla ricerca agricola.
Dobbiamo raddoppiare la produttività dei campi in Africa».
Quindi l’ingegneria genetica è la soluzione?
«Ci sono molti modi per migliorare le sementi, e tra questi molti metodi innovativi che rientrano nell’agricoltura convenzionale. Altri passi avanti in questo settore sono impensabili senza l’ingegneria genetica».
In Europa, il sentimento della popolazione verso l’ingegneria genetica è molto ostile.
«Già, ma in Europa non ci sono milioni di bambini che muoiono di malnutrizione. La domanda importante è: vogliamo lasciare o no la libertà agli Stati africani di decidere se vogliono usare l’ingegneria genetica? L’ultima parola la dovrebbero avere gli scienziati africani».
Lei ha fondato Microsoft all’età di soli 20 anni. Come vede i giovani del movimento FridaysForFuture?
«Sono molto entusiasta di ciò che i giovani come Greta Thunberg stanno facendo. L’ho appena vista nel Daily Show. Mi sembra fantastica l’energia che sta sviluppando questo movimento. Aiuta a creare una consapevolezza. Questo è sempre difficile nel tema del cambiamento climatico, perché i peggiori effetti si vedranno nel futuro e perché tira in ballo ambiti della scienza e statistiche complessi».
È sorpreso dalle giovani generazioni?
«Piuttosto sono sorpreso di quanto poco negli ultimi anni si sia parlato di cambiamento climatico, un tema enorme già dieci anni fa. In questi anni ho continuato a occuparmi di cambiamento climatico e ho imparato molto. I suoi sviluppi mi colpiscono molto anche perché ho l’Africa molto a cuore. La terribile ironia è che proprio il continente che meno contribuisce al cambiamento climatico sarà il primo a sentirne gli effetti».
I Paesi industrializzati possono ancora cambiare direzione di marcia?
«Al momento il nostro mondo è alimentato per il 90% con idrocarburi. Sarà molto difficile dire addio a ciò, ma dobbiamo farlo. È determinante che riusciamo a definire il costo del cambiamento climatico e quindi a cercare innovazioni che ci permettano di abbassarlo».
Il cambiamento climatico è anche causa di migrazione. Negli ultimi tempi, l’Europa ha eretto protezioni significative nelle sue frontiere contro i migranti. Alcune persone lo definiscono disumano. È d’accordo?
«Nell’Africa sub-sahariana vive quasi un miliardo di persone. Alla fine di questo secolo saranno tre miliardi.
Non è politicamente né logisticamente possibile che tutte queste persone si spostino nei Paesi sviluppati. Pertanto, dobbiamo migliorare le condizioni di vita di queste persone a livello locale. Se in questo avremo successo è molto probabile che l’Europa o gli Stati Uniti dovranno accogliere meno persone in futuro».
Tre miliardi di persone. È possibile interrompere il trend?
«Anche se raggiungessimo tutti gli obiettivi, non saremmo in grado di impedire la crescita della popolazione africana. Ma possiamo rallentare il processo. Esiste una forte correlazione tra crescita economica e tassi di natalità. Nei Paesi con una situazione economica migliore vanno a scuola più ragazze, queste ragazze sanno di pianificazione familiare più di quelle che non ci vanno, fanno piani per la carriera e hanno meno figli. In Asia, i tassi di natalità sono diminuiti drasticamente negli ultimi decenni».