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 2019  settembre 19 Giovedì calendario

Il caso Felicity Huffman e la meritocrazia perduta

La Desperate Wife Felicity Huffman in realtà è più che altro una desperate mum. Ossessionata dal bisogno di assicurare alla figlia l’ammissione in una università Ivy League, chiave di accesso per una vita di apparente successo.
Per questa ossessione Felicity Huffman nei giorni scorsi è finita in carcere, rea confessa. Ma proprio l’ossessione delle élite per la programmazione del futuro dei loro figli ha minato alle radici il senso della parola meritocrazia. E di questo si discute oggi sui media e nelle università americane. Di quale meritocrazia parliamo se la base di partenza tra un bambino che nasce in una famiglia middle classe e uno che nasce in una iper ricca è sideralmente lontana sin dal primo vagito?
Sapete quanto investe una famiglia dell’establishment globale per educare la progenie dall’asilo ai master post laurea? Dieci milioni di dollari. Avete letto bene: dieci milioni di dollari per figlio. Tanto costano le lezioni di cinese impartite già ai piccoli che cominciano appena a parlare, e poi le scuole super costose, gli sport complicati, la danza, il teatro, i viaggi, lo studio di più strumenti musicali.
Il prodotto di tanta cura è ovviamente destinato a conquistare i vertici delle super aziende del mondo, il potere di Wall Street o di Shangai, la scena politica globale. Non basta più essere andati a Oxford o a Cambridge per assicurarsi una vita di successo. Questa era la ricetta che il padre dell’attuale premier britannico, Boris Johnson, ha sempre considerato la sola utile eredità da lasciare ai figli, ma oggi tutto è molto, molto più esasperato.
IL DILEMMAPerciò, si interrogano ora negli Stati Uniti, possiamo ancora parlare di meritocrazia? 
A porsi la domanda sono proprio i giornali dell’establishment anglosassone. Lo fa David Brooks sul New York Times («La meritocrazia sta dividendo in due gli Usa») ma lo fa anche il Financial Times commentando il saggio di Daniel Markovits, La trappola della meritocrazia.
Markovits conosce bene i prodotti di un’educazione da dieci milioni di dollari: insegna da anni alla facoltà di giurisprudenza di Yale, una delle università americane cui si accompagna sempre l’aggettivo prestigiosa, una delle Ivy League. Eppure è proprio lui a sostenere che la meritocrazia, come l’abbiamo finora intesa, non esiste più.
Sentite che ne pensa il professore di Yale. «La meritocrazia prometteva di offrire opportunità agli outsider, quelli armati solo di ambizione e talento. Prometteva l’accesso al benessere e allo status da raggiungere attraverso le capacità. Oggi non è più così. Oggi i ragazzi della classe media a scuola partono sconfitti rispetto ai bambini molto più ricchi. E nel mondo del lavoro gli adulti della classe media sono sconfitti rispetto ai laureati delle élite. La meritocrazia è diventata un ostacolo e non un’opportunità perché la preparazione richiesta oggi è quella cui possono accedere soltanto i figli delle élite.
Paradossalmente, continua Daniel Markovits nel suo saggio, la situazione finisce col creare problemi alle elite stesse. Non solo per la quantità di denaro che ormai obbligatoriamente, anche solo per status, devono investire nell’educazione dei figli. È in gioco l’equilibrio mentale di questi ragazzi, osserva Markovits, che finiscono per vivere una condizione di stress permanente: a Yale, facoltà di giurisprudenza, il 70 per cento degli studenti ha ammesso di avere problematiche psicologiche e mentali. Nelle High schools di Palo Alto, la California di Apple, di Google e dei nuovi miliardari delle tecnologie, la pressione è così alta che si è registrata un’impennata di suicidi tra gli studenti. E lo stress da performance continua quando il prodotto dell’elite fa carriera: il Financial Times racconta di una top manager così preoccupata per la competizione sul lavoro da inviare via FedEx alla nanny il latte materno da somministrare al figlio neonato.
RISENTIMENTOIn piu, riflette Daniel Markovits, ormai la classe media nutre un profondo risentimento verso l’establishment e a loro volta le élite sono disposte a tutto pur di assicurare alla progenie l’accesso alle prerogative della casta. Il caso che si citava all’inizio, quello dell’attrice Felicity Huffman, è il frutto di una situazione fuori controllo: andrà in carcere per quattordici giorni per aver pagato quindicimila dollari al fine di garantire alla figlia l’ingresso in una delle più prestigiose università.
LE DIFFERENZEIn Italia un genitore che cerca un aiutino o una raccomandazione per il figlio è storia di tutti i giorni (e causa di molte delle nostre disfunzioni), ma nella società anglosassone è un’attitudine sommamente riprovevole. O almeno lo era. Poi, negli ultimi decenni, anche le università della Ivy League hanno imparato a chiudere tutti e due gli occhi davanti alle enormi quantità di denaro che le élite sono disposte a versare nelle loro casse. I principi calvinisti sono andati a farsi benedire ma la sentenza emessa contro la star di Desperate Housewives ha l’aria di un segnale di inversione di rotta. Felicity Huffman ha dovuto chiedere scusa «agli studenti che lavorano duro ogni giorno e ai genitori che sopportano pesanti sacrifici per mantenerli agli studi».
Un messaggio che va nella stessa direzione dell’allarme lanciato dal professore di Yale. Restituire alla meritocrazia il senso originario. Prima che sia troppo tardi.