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 2019  settembre 18 Mercoledì calendario

I nodi delle nuove concessioni autostradali


La conferma del «piano tariffario unico» per tutti i concessionari autostradali scritta nel programma di governo M5S-Pd e la «effettiva realizzazione» degli investimenti programmati annunciata come priorità dalla ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, sono i due indizi – insieme ai continui richiami a una maggiore manutenzione – della partita della «revisione» delle concessioni autostradali che sta per cominciare. È, al momento, la maggiore insidia programmatica del governo Conte 2. Finora la «revisione» è stata trattata in tutte le dichiarazioni della maggioranza giallorossa come una specie di derivata – uno scenario sullo sfondo – rispetto alla vera mina della partita autostradale, la revoca della concessione ad Aspi. Così non è, però. La «revisione» sarà una partita durissima, i segnali non mancano, e riguarderà tutti i concessionari.
A giocare un ruolo centrale sarà il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. A lui spetta garantire il punto di equilibrio nella strategia del governo sulle autostrade. Non solo M5S e Pd sono d’accordo che l’ultima parola sulla revoca della concessione di Aspi sarà la sua. Anche sulla «revisione» – che significa aggiornare sostanzialmente il modello del rapporto con i concessionari, i parametri tariffari, incentivi e verifiche puntuali alla concreta realizzazione degli investimenti – la sintesi spetterà a Palazzo Chigi. E il riferimento esplicito inserito dal premier nel programma alla conferma del «piano tariffario unico» ne è la riprova.
Un peso ce l’avrà il rapporto sulle concessioni autostradali che la Corte dei conti sta per rendere pubblico. Si tratterà di capire se verrà aggiornato quel 64,87% che i rapporti ministeriali indicano per il 2017 come il rapporto fra investimenti realizzati e investimenti programmati. Considerazioni importanti perché è evidente che in un Paese come l’Italia dove servono otto anni per trasformare un progetto in cantiere bisogna capire bene quali sono le responsabilità di ritardi e rinvii. Ma certo è che il governo ripartirà dalla delibera dell’Autorità di regolazione dei trasporti guidata da Andrea Camanzi che lo scorso febbraio ha definito il «piano tariffario unico» per poi inserire a giugno la riforma del calcolo della tariffa nelle sedici delibere rivolte ad altrettanti concessionari. Non c’è nessuna applicazione immediata della nuova tariffa – che entra in vigore dal 1° gennaio – ma la base di una rinegoziazione delle convenzioni fra i concessionari e il ministero delle Infrastrutture.
Che sarà una guerra e non una passeggiata lo confermano non solo il dibattito aspro dello scorso giugno, ma anche i ricorsi al Tar Piemonte (l’Autorità ha sede a Torino) dei concessionari alla delibera madre di febbraio e la montagna di osservazioni critiche di cui l’Autorità è stata sommersa nella discussione delle delibere successive. I concessionari lamentano anzitutto che non si possano cambiare le regole in corsa rispetto a convenzioni già definite e che comunque l’Autorità non abbia i poteri per farlo. Su questi punti sono state annunciate battaglie alla Consulta e alla Corte di giustizia Ue.
Sembra difficile, però, fermare il governo nel processo di revisione che quasi certamente comporterà anche un intervento legislativo. Anche perché se sulle revoche ci sono posizioni articolate e ieri lo ha confermato Matteo Renzi («le concessioni si tolgono se c’è una base legale, altrimenti gli fai un regalo per i prossimi venti anni»), sulla revisione la maggioranza è compatta, almeno prima di entrare nel merito della discussione. E la prima cosa che tutti chiedono è che gli aumenti tariffari scattino solo a investimenti effettuati e contabilizzati.
Proprio sul rapporto fra tariffa e investimenti effettivi l’Autorità attacca a testa bassa, i concessionari si difendono e rilanciano. La partita sarà prevalentemente qui.
Nel suo metodo tariffario l’Autorità ha introdotto due elementi. Anzitutto, il «principio secondo il quale in tariffa vengono ammessi esclusivamente gli investimenti effettivamente realizzati, superando il sistema previsto dalle vigenti convenzioni uniche, che prevede attualmente l’accantonamento o il vincolo a riserva dei benefici finanziari conseguenti alla mancata o ritardata realizzazione». Il tasso di realizzazione effettiva degli investimenti – dice l’Autorità – deve frenare preventivamente l’aumento della tariffa per l’anno successivo e non agire a consuntivo o a conguaglio se l’investimento messo a tariffa non è stato realizzato. La risposta di Aspi non si è fatta attendere: «L’attuale sistema tariffario ha garantito fino ad ora che i livelli tariffari riconosciuti di anno in anno fossero calcolati sul valore degli investimenti effettivamente realizzati e non sui valori previsionali». Sarà il governo a chiarire da che parte stare anche perché va ricordato che i sistemi tariffari vigenti sono sei.
Ma l’Autorità ha introdotto uno strumento ancora più forte, una penale (riduzione tariffaria) qualora sia imputabile al concessionario il ritardo negli investimenti programmati. Una norma che i concessionari considerano illegittima perché esce dal perimetro definito dalla legge e che aprirebbe una stagione di contenziosi senza fine fra concessionari e concedente, il ministero delle Infrastrutture.
Gli altri aspetti su cui l’Autorità batte è un price cap che risulti dalla differenza fra inflazione programmata e un fattore X di efficientamento della gestione calcolato in base a parametri di gestione elaborati dall’Autorità. Niente schemi fissi ma valutazioni sulla base del personale impiegato in relazione alla rete e al traffico, della manutenzione svolta, della qualità del servizio. Inoltre, l’Autorità propone di «trasferire direttamente, in termini di riduzione tariffaria, eventuali maggiori ricavi correlati al fatto che i volumi di traffico a consuntivo si rivelino eccessivamente superiori alle previsioni di traffico».
Camanzi nega atteggiamenti punitivi verso i concessionari e ricorda come il nuovo metodo tariffario renderà gli aumenti tariffari automatici senza più bisogno di decreti ministeriali. Inoltre le opere in corso andranno con il vecchio metodo.