Libero, 18 settembre 2019
Olive fritte di pesce di nonno Francesco
La prima immagine sono i calzoni di velluto blu a coste, il gilet di lana verde muschio indossato sopra la camicia azzurra, le chiavi appese al passante dei pantaloni, la grande giacca scura e la coppola calcata bene sulla testa. «Io vado!» si sentiva urlare alle 5 del mattino. Mio nonno Francesco salutava così ogni volta: che fosse la passeggiata fino all’edicola o il viaggio in auto fino alle sue terre, lui si alzava presto e sembrava facesse di tutto per farsi sentire. A mio nonno piaceva mangiare e anche molto cucinare. Da quando nel 1970, con quattro masserizie su un camioncino aperto, da Castignano si trasferisce con moglie e figlie a San Benedetto del Tronto, vuole fin da subito conoscere le persone, i luoghi e le tradizioni della città. Con l’arrivo della pensione ha la possibilità di dedicare tempo alla campagna, alla cucina e alla scelta degli ingredienti: dal suo orto delle colline offidane prendeva le verdure e al porto di San Benedetto andava a comprare il pesce appena pescato. Amava molto consumare pesce, tra le sue ricette, infatti, ho un ottimo ricordo del brodetto alla sanbenedettese, del merluzzo arrosto, degli spaghetti al sugo di pesce e, infine, la mia preferita forse per la grande abilità e pazienza richieste, delle olive fritte di pesce. Per questo piatto, la mattina presto, andava al mercato del pesce a scegliere i filetti migliori, tutto pesce fresco dell’Adriatico, soprattutto pesce azzurro: merluzzo, coda di rospo, scampi, alici, triglie, gallinelle, cefali… Ogni volta la spesa era un po’ diversa, eppure il risultato non ha mai risentito di eventuali mancanze. Una volta rientrato a casa, per prima cosa sciacquava i pesci e li metteva sul fuoco in una pentola d’acqua calda, facendoli lessare per dieci/quindici minuti con carote, sedano e cipolla. Dopo averli fatti raffreddare, li puliva con molta attenzione: seduto a capotavola, spinava minuziosamente ogni parte, liberando la polpa da lische, spine o gusci. In sottofondo spesso, a volume sostenuto, la voce di Giancarlo Guardabassi ai microfoni di Radio Aut. Ma il suo non era un lavoro solitario, appena un qualsiasi membro della famiglia si trovava a passare dalla cucina veniva trascinato in una conversazione coinvolgente, che poteva andare dalle ultime notizie, agli incontri avvenuti quella stessa mattina, e dalla quale difficilmente ci si voleva sottrarre. Ricavata tutta la polpa, usava passarla in un macinacarne in ghisa a manovella, ereditato dai suoi genitori, fino ad ottenere un composto morbido e omogeneo. A questo aggiungeva, sale, prezzemolo tritato finissimo, parmigiano grattugiato, scorza di limone grattugiata e noce moscata. Pronto il ripieno di pesce, passava alle olive. Sceglieva olive verdi molto grandi che aveva conservato lui stesso, in salamoia e bastoncini di finocchio, dentro altrettanto grandi barattoli di vetro. Una volta sciacquate, le olive venivano snocciolate una ad una, praticando un taglio a spirale con bordo largo, usando un piccolo coltellino personale che estraeva all’ultimo momento dalla tasca. Dopo questa operazione, che richiedeva parecchi minuti, non restava che riempire ogni oliva della giusta quantità di ripieno, passarle nella farina, nell’uovo sbattuto e nel pan grattato, infine riporle su un vassoio di carta. Per questi ultimi passaggi, si avvaleva anche dell’aiuto di mia nonna che pronta, con grembiule addosso, eseguiva in modo rapido le ultime operazioni. In una sola mattinata riuscivano a fare una decina di vassoi ripieni di olive che aspettavano solo un’attenta e degna friggitura in olio extravergine di oliva. Piatto tipico di ogni vigilia di Pasqua, in famiglia faceva contenti adulti e bambini, se ne potevano mangiare grandi quantità, calde o fredde, come antipasto o come secondo e, certamente, anche come spuntino tra una portata e l’altra.