Corriere della Sera, 18 settembre 2019
Castellucci parla del suo addio. Intervista
Ingegner Castellucci, lei lascia Atlantia a più di un anno dalla tragedia del ponte Morandi. Perché proprio ora?
«Un anno fa mi sono fatto carico di portare avanti il gruppo su richiesta degli azionisti. Non è stato facile, ma era doveroso. Ora è il momento giusto per lasciare. Nell’interesse di tutti».
La fiducia dei Benetton non le è mai mancata. Il suo passo indietro ora è utile ad agevolare la difficile trattativa sulle concessioni?
«Penso che sul tema delle concessioni non ci sia assolutamente nulla di personale. Uno vale l’altro. Quello che contano sono gli argomenti e la capacità di esporli».
Ha avuto modo di dire la sua nel Cda sul nuovo modello di governance?
«Come gestire il gruppo in futuro è un tema che compete, appunto, al consiglio d’amministrazione. Ma faccio i più cari auguri a Giancarlo Guenzi per la responsabilità che si è meritato».
A 18 anni dal suo ingresso, l’azienda da player nazionale è diventata leader globale.
«Quando entrai in Autostrade provenendo da Barilla, questa era un’azienda privatizzata da meno di due anni. Con un management cresciuto nel sistema delle partecipazioni statali, non sempre sufficientemente attento alla qualità del servizio e alla sicurezza. Ma all’interno trovai anche molte persone appassionate del loro lavoro. E spesso collaboratori migliori dei capi. Mi ci sono appassionato, cercando di abituare i colleghi all’analisi e alla programmazione e a una diversa attenzione alla sicurezza. Asfalto drenante e tutor sono primati di Autostrade».
Il suo bilancio personale?
«Posso dire che invece di cambiare di azienda, ho cambiato l’azienda per cui ho avuto il privilegio di lavorare per più di 18 anni. Cambiandone la traiettoria insieme a tanti colleghi che ci hanno creduto insieme a me».
Meriti offuscati dalla tragedia di Genova.
«Quella del ponte Morandi è una tragedia di cui noi tutti non ci facciamo umanamente una ragione e di cui i tecnici non si capacitano ancora. Nei prossimi mesi, con il secondo incidente probatorio, si proverà a capire le cause. E quanto queste siano collegate con gli importanti difetti e difformità di costruzione del Ponte che i tecnici hanno evidenziato. Di sicuro c’è che il Ponte era stato visto e studiato da tanti tecnici. E nessuno aveva evidenziato pericoli per la sicurezza dell’infrastruttura».
Tutto scritto
«Esiste una policy raccomandata: lasciare tutto tracciato per iscritto, anche i dissensi»
Ora all’indagine sul Morandi si sommano gli sviluppi di una indagine bis sui monitoraggi di due ponti.
«Sono due dei nostri 1.943 ponti. E sono stati già ristrutturati. Ma fa male leggere di registrazioni clandestine tra colleghi, jammers usati per riunioni tecniche, di forzature verbali su temi che potrebbero coinvolgere la sicurezza. Che la magistratura indaghi a fondo. Sono comportamenti fuori dalle leggi e dalle regole della convivenza civile, compiuti peraltro da persone che sono da tantissimi anni in azienda, da prima della privatizzazione. Evidentemente non siamo riusciti collettivamente a creare gli anticorpi per isolare ed espellere questi elementi. Esiste una policy raccomandata: lasciare tutto tracciato per iscritto, anche i dissensi. La recente decisione di mettere online tutti i dati dei viadotti è un’altra decisione di trasparenza che ho indicato».
E quindi come si può spiegare la vicenda?
«C’è una confusione che in gran parte deriva da norme sovrapposte, senza linee guida interpretative, da enti e organismi con prerogative vaghe e non sempre strutturati, e soprattutto da frequenti situazioni nelle quali la costruzione (degli anni 60 e 70) non corrisponde precisamente al progetto. E allora partono dubbi e discussioni su cosa è più legittimo amministrativamente utilizzare ai fini dei calcoli sulla sicurezza. Sui due ponti in questione è stato l’elemento centrale. Invito ad accedere alla documentazione che abbiamo messo online».
Torniamo alle concessioni. Può dire che l’ingente ritorno degli azionisti di Autostrade in questi anni non sia frutto di un sistema a voi particolarmente favorevole?
«Crescere in un settore a così alta intensità di capitale è stato possibile solo selezionando gli investimenti, con la massima attenzione a quelli nei quali potevamo mettere a frutto le competenze industriali del gruppo. Solo così si può mantenere un adeguato ritorno agli azionisti».
Adeguato per gli azionisti, ma forse eccessivo.
«La crescita di valore è stata dovuta soprattutto a progetti di sviluppo di grande qualità. Penso ad esempio alle autostrade urbane a Santiago del Cile, allo spettacolare turnaround di Aeroporti di Roma, al successo di Telepass. Le tariffe c’entrano poco».
Nessun problema con gli azionisti?
«Lasciare è stata una decisione mia, condivisa con il Cda. Non posso e non voglio essere l’uomo per tutte le stagioni».
Vede il suo futuro altrove?
«Avere un’altra opportunità di creare un leader globale sarebbe chiedere troppo. Ma ora devo solo pensare a salutare i miei colleghi e augurare loro in bocca al lupo».