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 2019  settembre 18 Mercoledì calendario

Sulla malattia di Ezio Bosso

Ci sono malattie terribili che, anche se non possono distruggere un talento, lo imprigionano in una gabbia. Lo fanno in modo graduale, ma inesorabilmente. Ci si ritrova così ad essere drammaticamente lucidi, mentre il proprio corpo si arrende e pezzo dopo pezzo diventa pietra. Non sappiamo il nome della malattia che affligge il noto musicista, compositore e direttore d’orchestra Ezio Bosso, 48 anni. Ma sappiamo che gli ha portato via il pianoforte. «Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza», confessa al pubblico barese che ha incontrato qualche giorno alla Fiera del Levante. Guai però a parlare di abbandono della musica. Qualunque sia la malattia che ha colpito il musicista, il suo talento rimane intatto. Tanto che continuerà a fare il direttore d’orchestra. «Niente pietismi, non mi sono ritirato», precisa Bosso su Facebook. «Chiariamoci bene: ho solo risposto che non faccio più concerti da solo al pianoforte perché lo farei peggio che mai e già prima ero scarso. Cosa che avevo già annunciato 2 anni fa. Ma sono molto felice continua – perché faccio il mio mestiere di direttore». 

LE IPOTESI
Le malattie che possono imprigionare il talento e l’anima sono molte, anzi troppe. Tante le ipotesi, su quella che ha colpito Bosso. Inizialmente si è parlato di Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ipotesi poi smentita. Quello che sappiamo del musicista torinese è che la diagnosi è arrivata nel 2011 dopo un intervento per tumore al cervello. Questa malattia oggi ha compromesso l’uso delle sue mani e, in futuro, chissà cos’altro. C’è chi ha ipotizzato una malattia autoimmune, come la neuropatia motoria multifocale che colpisce i nervi motori, quelli che trasmettono i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli. I sintomi sono molto simili a quelli della Sla, come gli spasmi muscolari. I primi problemi iniziano spesso a livello di avambraccio e mano, a volte in punti specifici come il polso o le dita. «Contro questa malattia oggi abbiamo dei trattamenti che agiscono sopprimendo il sistema immunitario e, anche se non cancellano i sintomi, li rendono certamente più controllabili», dice Adriano Chiò, professore ordinario del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Torino. Ma le malattie che per eccellenza imprigionano il corpo sono quelle che colpiscono il motoneurone, di cui la Sla ne è un esempio. «Le malattie del motoneurone sono un gruppo molto eterogeneo di condizione neurodegenerative che colpiscono le cellule nervose deputate al controllo dei muscoli», spiega Chiò. Oltre alla Sla, rientrano in questa categoria l’atrofia muscolare progressiva, la sclerosi laterale primaria, la paralisi bulbare progressiva e così via. «Ce ne sono all’incirca 15 e ognuna ha tempi di esordio e progressione, così come sintomi e decorso, molto variabili», precisa Chiò. La stragrande maggioranza non ha una cura definitiva. 

TERAPIE
«Ci sono solo farmaci che possono rallentarle», spiega l’esperto. La progressione è quindi inesorabile. L’elenco dei sintomi di una malattia del motoneurone è molto variabile. Nella Sla, l’interessamento dei motoneuroni è praticamente totale e per questo il paziente lamenta difficoltà in svariati ambiti, non solo il movimento, ma anche la deglutizione, il linguaggio o addirittura la respirazione. L’andamento è altrettanto variabile. «Può progredire velocemente nel giro di pochi anni oppure possono passare dai 15 ai 20 anni prima di finire sulla sedia a rotelle o addirittura a letto», specifica Chiò. «Si stima che queste malattie abbiano una prevalenza di 12 casi su 100mila persone e, solitamente, colpiscono gli adulti e gli anziani». Ma ci sono anche forme infantili. Pensiamo all’atrofia muscolare spinale (Sma), una malattia genetica rara che in Italia colpisce 1 bambino su 6mila. Da circa due anni è disponibile la prima terapia al mondo in grado di rallentare, e in alcuni casi arrestare, l’avanzata della patologia: basta guardare i piccoli testimonial della campagna per la raccolta fondi #Regala il futuro al via fino al 22 settembre. «La nuova terapia contro la Sma è un esempio bellissimo di come la ricerca possa aiutare concretamente a combattere queste malattie», dice Chiò. «Non bisogna perdere la speranza. Noi ricercatori non ci arrendiamo», conclude.