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 2019  settembre 17 Martedì calendario

I volti del Buscetta segreto

«Quando finalmente abbiamo incontrato Cristina, la vedova di don Masino, in Florida – racconta Mark Franchetti – le abbiamo spiegato la nostra idea di fare un film sul Buscetta sconosciuto, quello che dopo il pentimento ha passato 30 anni sotto falsa identità, protetto dal Fbi e dalla Dea. Lei non si fidava, ma con noi c’era Tony Petrucci, un ex agente federale che per tanti anni era stato il loro angelo custode. Abbiamo illustrato il progetto in dettaglio, ma avevamo bisogno di materiale fotografico. Di Buscetta esistevano pochissime immagini e un solo breve filmato, quando entra al maxiprocesso. Al secondo incontro, Cristina si è presentata con 12 dvd di homevideo. Nel primo che misi nel portatile c’era Buscetta vestito da Babbo Natale, che distribuisce regali ai figli. Lì abbiamo capito di avere un film».
Due anni e un massacrante lavoro di ricerca tra gli Stati Uniti, Roma e Palermo dopo, Our Godfather: the Man the Mafia could not killè uno straordinario lungometraggio, che La7 manda in onda domani in prima serata in un’anteprima mondiale a cura di Enrico Mentana. A firmarne sceneggiatura e regia sono Franchetti, per 25 anni inviato e corrispondente da Mosca del Sunday Times, e Andrew Meier, scrittore e giornalista del New York Times Magazine.
Attingendo a una mole enorme di materiali inediti e grazie alle testimonianze di familiari e poliziotti che non avevano mai prima d’ora accettato di parlare davanti a una telecamera, Franchetti e Meier ricostruiscono un Buscetta privato, il dramma di un uomo e della sua famiglia, decimata dalla vendetta mafiosa e costretta ancora oggi a vivere nell’anonimato e nella paura: «Siamo ancora a rischio – dice Cristina in una delle interviste del film – la mafia non dimentica».
Qual è stato il lavoro più difficile?
«Quello di instaurare un rapporto di fiducia con tutti i protagonisti. Quella di Buscetta è una famiglia complicata: ha avuto otto figli da tre donne diverse. Due figli sono stati vittima della lupara bianca. Il fratello, i nipoti, il genero e il suocero sono stati assassinati. Erano tutte persone innocenti. L’altra difficoltà è stata raccontare una personalità dai mille volti senza poterci parlare e soprattutto senza santificarlo. Buscetta era pomposo, retorico, pieno di sé, parlava spesso in terza persona, ha detto tante verità, ma dei suoi omicidi non ha mai detto nulla. Era anche molto vanitoso: un agente italiano, assegnato alla sua protezione, mi ha raccontato che una volta lo accompagnò da un notaio perché doveva autenticare dei documenti. Quello non lo riconobbe e Buscetta si arrabbiò moltissimo».
Perché decise di pentirsi?
«Penso che lo abbia fatto per due ragioni. La prima per vendicarsi, ricordiamo che i suoi figli e alcuni parenti vengono fatti sparire o uccisi già prima del pentimento. La seconda perché veramente credeva che la mafia avesse tradito sé stessa». 
Che idea si è fatto di lui?
«Aveva dei principi, sia pur malati, era carismatico, affabulatore, nell’organizzazione aveva un ruolo maggiore del suo grado per la sua personalità e perché conosceva il mondo. Negli anni Cinquanta stava già in America Latina».
Com’era Buscetta negli anni della clandestinità?
«In crisi, chiuso in sé stesso. Felicia, la figlia più grande che oggi ha quasi 70 anni e ha perso due fratelli e il marito, ucciso davanti, gli è stata vicina durante la malattia fino alla fine. Ecco, lei mi ha detto che non c’è mai stata una volta in cui suo padre abbia parlato con lei o con un altro familiare di questa tragedia, della lunga scia di sangue e morti, del prezzo pagato dalla famiglia per le sue scelte. Buscetta negli anni sotto protezione è un uomo che si sente sconfitto, umiliato. Trasloca venti volte, non può avere amici. Non vuol essere ricordato come un infame e cerca di costruire una motivazione etica alla sua decisione. In questo è un grande manipolatore. Il suo legame più forte è quello con Cristina, la terza moglie, e i suoi due figli».