il Giornale, 17 settembre 2019
Storie e curiosità dei premi letterari
I premi letterari? «Tutti truccati», tranne ovviamente quello in cui siete in giuria, o che avete vinto. Per il resto la storia dei premi – un mondo in cui risplendono al meglio, e al peggio, tutti i moti dell’animo umano: invidia, gelosia, sfida, desiderio di potere, brama di onori e denaro... – è quasi più bella di molti romanzi che li hanno vinti. Sulle grandi competizioni letterarie molto si sa, ma altrettanto resta da scoprire. Cosa che fa – lavorando su nuovi documenti d’archivio, corrispondenze inedite e interviste – un libro realizzato dagli studenti del Master in «Professioni e prodotti dell’editoria» del Collegio Santa Caterina dell’università di Pavia: Visto, si premi! I retroscena dei premi letterari. Un volume ricco di aneddoti, eventi dimenticati e altri mai rivelati, leggendo il quale si scopre che:
I PREMI NON SALVANO LA VITA Cesare Pavese vinse lo Strega con La bella estate nel 1950. Il 24 giugno. Le foto della serata lo ritraggono imbarazzato e stranito: dal volto traspare cortesia, ma le mani in tasca rivelano disagio. Dopo la premiazione, a un giornalista dichiara: «Si consolino i perdenti. I libri più importanti di una generazione non prendono premi». Il 21 agosto, in una lettera a Tullio Pinelli scrive: «Il premio chi se lo ricorda? Sono balle. Val la pena questa gloria?». Il 27 agosto, due mesi dopo la vittoria, si suicida.
E NEPPURE DANNO L’ETERNITÀ Gavino Ledda nel ’75 vince il Viareggio con Padre padrone: il libro diventa un caso editoriale, fra il ’75 e l’80 vende 220mila copie con traduzioni in moltissimi Paesi, i fratelli Taviani nel ’77 ne traggono un film di successo (Palma d’oro a Cannes) e Feltrinelli ne fa un titolo-manifesto. Oggi, chi se lo ricorda?
CHIAVATE&CENSURE Nel maggio del ’52 l’Osservatore Romano pubblica il decreto con cui viene messa all’Indice l’opera omnia di Alberto Moravia, che è in corsa allo Strega con I racconti. In cinquina ci sono anche Monelli, Patti, Calvino e Carlo Emilio Gadda, il quale – in uno scoppio d’ira – scrive una lettera a Gianfranco Contini (il testo è irresistibile, pure con un piccolo sfregio antisemita) denunciando il fatto che il libro di Moravia è arrivato 20 giorni DOPO la scadenza del concorso e comprende racconti già editi in volume; e lamentandosi del fatto che tutti parlano della censura subita da Moravia e non della sua: «Io sono martire quanto lui e più di lui... Eros&Priapo non si può stampare. E non ci sono coiti, mentre lui ha potuto inondare di male chiavate i suoi romanzi». Il risultato è noto. Lo Strega lo vince Moravia (attorno al quale ci fu un vero «sobbalzo di solidarietà» da parte della sinistra culturale contro le censure vaticane) e Gadda, distanziatissimo, arriva secondo. Il secondo, oggi, è un classico del ’900. Il primo, non lo legge più nessuno.
BROCCHI&CAVALLI DI RAZZA Beppe Fenoglio era un tipo riservato, un piemontese delle Langhe lontanissimo dai salotti romani. Però testardo. E infatti quando la sua casa editrice, Garzanti, gli chiede di ritirare la propria candidatura allo Strega – siamo nel ’59 – per non intralciare il vero cavallo di razza della scuderia, ossia Pasolini, Fenoglio scrive a Pietro Citati: «I premi letterari non mi tolgono né il sonno né l’appetito. Io non scrivo per competizione, alla radice del mio scrivere c’è una primaria ragione che nessuno conosce all’infuori di me». Ma si tolgano dalla testa – questo è il senso delle resto della lettera – che io mi ritiri dalla gara. «Io sarò un brocco ma un brocco brado». Morale: Fenoglio s’intestardisce, ma non entra neppure in cinquina, Pasolini gliela giura, ma alla fine Il Gattopardo (postumo) frega tutti. Bene. Ricordate la lettera citata all’inizio, quella in cui Fenoglio se ne frega dei premi, eccetera eccetera? Rovistando in una cartella personale, qualcuno di recente ha trovato parecchi ritagli di giornale sullo Strega di quell’anno, e anche sul Viareggio, cui concorse, sempre senza vincere. Insomma: qualcosa gli interessava, eccome.
COPPE BUTTATE A proposito di scrittori ai quali i premi proprio non interessavano. Giovanni Arpino nel ’64 vince lo Strega con L’ombra delle colline. La medaglia, anni dopo, la regalerà all’amico Armando Torno. Del resto Arpino era solito togliere le targhe col suo nome dalle coppe dei premi, prima di dimenticarle in treno.
VANITÀ, TUTTO È VANITÀ. A proposito invece di scrittori che nelle interviste dichiarano il contrario di ciò che confessano in privato, Gesualdo Bufalino sui giornali ostentava noncuranza per gli allori letterari, ma agli amici, come Biagio Guccione, che lo accompagnò sia al Campiello nel 1981 sia allo Strega del 1988 (vinti entrambi con Diceria dell’untore e con Le menzogne della notte), manifestò – diciamo così – ripetute narcisistiche forme di contentezza. Tra le «gocce di vanità», da segnalare i due versi (inediti) regalati a Guccione dopo il trionfo alla Fenice. «Sicché stasera, senza droga o spezia/ già mi lusingo di far fuor Venezia». Ah. Nella quarta di copertina del suo Menzogne della notte, Bufalino inizialmente scrive: «Non per superbia ma per sola senile insofferenza non desidero concorrere ai premi letterari». Testo che Bompiani cassa prima della pubblicazione.
CHE SESSANTOTTO! È noto, e fece scalpore, che nel giugno 1968 Pasolini scrisse una lettera durissima sul Giorno per annunciare il suo ritiro dallo Strega di quell’anno. In un J’accuse tipicamente pasoliniano («Io so!») in cui denuncia il malcostume imperante, lo scrittore afferma: «Sono venuto a conoscenza di fatti di cui purtroppo non posso né, credo, potrò mai produrre prove che mi hanno convinto che il premio Strega è completamente e irreparabilmente nelle mani dell’arbitrio neocapitalistico». La lettera aperta suscita clamori indicibili, i suoi amici Moravia e Maraini si dimettono per solidarietà dal ruolo di votanti, la «contestazione» sfiora il Ninfeo, ma senza sconvolgerlo. La serata finisce come sempre a pasticcini e liquori. Andrebbe però ricordato il fatto che la protesta, col conseguente ritiro di Pasolini, scoppia il 24 giugno, DOPO la prima votazione, nella quale L’occhio del gatto di Alberto Bevilacqua, che poi trionferà, stacca già di oltre 40 voti il pasoliniano Teorema. Chi poi ha avuto tempo e voglia di spulciare l’epistolario dello scrittore, si è imbattuto in numerose lettere in cui Pier Paolo chiede voti per i vari premi. Cose normali per l’intellighenzia italiana.
QUANTO VALE UN PREMIO? Il fattore Strega, secondo serissime indagini economiche, oggi quintuplica le vendite. Esempi. La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano passa da 6mila copie vendute la settimana prima della vittoria dello Strega, nel luglio 2008, a 30mila in quella successiva. Le otto montagne di Paolo Cognetti nel 2017 passa da 2-3mila a 14mila copie vendute.
Q COME CASTA I Luther Blissett (collettivo di scrittori poi confluito in Wu Ming) nel 1999 poco dopo la candidatura del loro romanzo Q allo Strega, dichiarano: «È un premio più truccato di Sanremo, e quest’anno è già appaltato alla Maraini». E poco dopo: «Lo Strega è una buffonata, una delle tante istituzioni inutili di questo Paese». Il romanzo esce nella collana Stile libero della berlusconiana Einaudi, ottiene paginate su la Repubblica scritte dall’amica Loredana Lipperini, ma loro combattono le lobby dei potenti, la casta, l’alta società. Disertano la serata finale al Nifeo, lasciando vuoto il tavolo Einaudi. Vince, come da copione, Buio di Dacia Maraini. A Luther Blisset resta la gloria, le copie vendute e il mito dell’anonimato. Quest’anno, per il ventennale della pubblicazione, il libro esce con una sovracoperta che per la prima volta in assoluto nella storia dell’editoria non avrà stampato in nome dell’autore, ma solo il titolo.