Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 17 Martedì calendario

Finiamola di citare Flaiano

In un certo senso Ennio Flaiano flaianamente se l’è voluta e forse è citando Flaiano — «il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso» — che lo stesso Flaiano comincerebbe quest’articolo su Flaiano. Non che io voglia parlarne male: soprattutto oggi che «il cretino è pieno di idee», Flaiano non lo merita. Ma non se ne può più dell’autore venerato come genio italiano per via delle battute sapide e della satira che «ci rende fieri, come se ci riconoscesse uno stato civile artistico, un diploma che ci sollevi dalla mediocrità e dal grigiore delle parti secondarie». E poco importa che spesso le frasi siano false. A furia di scriverle diventano vere: «leggere è niente, il difficile è dimenticare ciò che si è letto». Insomma ricorriamo a Flaiano quando ci pare di andare contro il senso comune e cerchiamo una benedizione autorevole al controsenso e al contromano. Se per esempio siamo di quelli a cui non piace Elena Ferrante chiediamo aiuto al santo Battutista: «I capolavori oggi hanno i minuti contati». E la frase di Maccari «il fascismo si divide in due parti: il fascismo propriamente detto e l’antifascismo» diventa più anti-antifascista se viene attribuita al signore del nostro disincanto. E quando Contedue ha preso il posto di Conteuno, ci siamo tutti ubriacati di Flaiano: «lei non può immaginare quanto io non sia irremovibile nelle mie idee», «gli italiani corrono in soccorso del vincitore», «ho poche idee ma confuse», «la situazione è grave ma non è seria». E chi sono i populisti? «Credi che siano gli altri e un bel giorno ti accorgi che siamo noi».
Mark Twain, tanto per cambiare protettore, non ne poteva più, pensate!, di Michelangelo che pure amava moltissimo. Ma in Italia, diceva, è l’ossessione nazionale, perché tutti gli attribuiscono tutto, partendo dal vero, la Cappella Sistina, per arrivare ai «Fori romani realizzati mille anni prima» e finire con l’Universo che «Dio ha creato sulla base dei disegni di Michelangelo». Ora, Flaiano non è Michelangelo e i suoi libri, che davvero pochi leggono, non valgono le sue battute, ma l’ossessione è dello stesso genere, si parva licet componere magnis (è Virgilio, non Flaiano). È dunque bello che L’occhiale indiscreto (Adelphi), brevi scritti per i giornali dal 1941 al 1972, sia una gradevole e malinconica antologia di "carte disperse", dove è finalmente inutile cercare gli aforismi che gli italiani preferiscono ai libri che non frequentano. Mai un Flaiano intero piace quanto un aforisma di Flaiano che è una scorciatoia, la via più facile alla deprecatio temporum.
In genere si tratta di luoghi comuni antimoderni sul famigerato presunto carattere degli italiani, pillole di verità e al tempo stesso di pregiudizi che appunto tutti peschiamo in una memoria contraffatta. E forse Flaiano, chiudendo flaianamente con «l’insuccesso gli ha dato alla testa», spiegherebbe la fortuna delle sue battute proprio con la sfortuna dei suoi libri.