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In un certo senso Ennio Flaiano flaianamente se l’è voluta e forse è citando Flaiano — «il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso» — che lo stesso Flaiano comincerebbe quest’articolo su Flaiano. Non che io voglia parlarne male: soprattutto oggi che «il cretino è pieno di idee», Flaiano non lo merita. Ma non se ne può più dell’autore venerato come genio italiano per via delle battute sapide e della satira che «ci rende fieri, come se ci riconoscesse uno stato civile artistico, un diploma che ci sollevi dalla mediocrità e dal grigiore delle parti secondarie». E poco importa che spesso le frasi siano false. A furia di scriverle diventano vere: «leggere è niente, il difficile è dimenticare ciò che si è letto». Insomma ricorriamo a Flaiano quando ci pare di andare contro il senso comune e cerchiamo una benedizione autorevole al controsenso e al contromano. Se per esempio siamo di quelli a cui non piace Elena Ferrante chiediamo aiuto al santo Battutista: «I capolavori oggi hanno i minuti contati». E la frase di Maccari «il fascismo si divide in due parti: il fascismo propriamente detto e l’antifascismo» diventa più anti-antifascista se viene attribuita al signore del nostro disincanto. E quando Contedue ha preso il posto di Conteuno, ci siamo tutti ubriacati di Flaiano: «lei non può immaginare quanto io non sia irremovibile nelle mie idee», «gli italiani corrono in soccorso del vincitore», «ho poche idee ma confuse», «la situazione è grave ma non è seria». E chi sono i populisti? «Credi che siano gli altri e un bel giorno ti accorgi che siamo noi».
Mark Twain, tanto per cambiare protettore, non ne poteva più, pensate!, di Michelangelo che pure amava moltissimo. Ma in Italia, diceva, è l’ossessione nazionale, perché tutti gli attribuiscono tutto, partendo dal vero, la Cappella Sistina, per arrivare ai «Fori romani realizzati mille anni prima» e finire con l’Universo che «Dio ha creato sulla base dei disegni di Michelangelo». Ora, Flaiano non è Michelangelo e i suoi libri, che davvero pochi leggono, non valgono le sue battute, ma l’ossessione è dello stesso genere, si parva licet componere magnis (è Virgilio, non Flaiano). È dunque bello che L’occhiale indiscreto (Adelphi), brevi scritti per i giornali dal 1941 al 1972, sia una gradevole e malinconica antologia di "carte disperse", dove è finalmente inutile cercare gli aforismi che gli italiani preferiscono ai libri che non frequentano. Mai un Flaiano intero piace quanto un aforisma di Flaiano che è una scorciatoia, la via più facile alla deprecatio temporum.
In genere si tratta di luoghi comuni antimoderni sul famigerato presunto carattere degli italiani, pillole di verità e al tempo stesso di pregiudizi che appunto tutti peschiamo in una memoria contraffatta. E forse Flaiano, chiudendo flaianamente con «l’insuccesso gli ha dato alla testa», spiegherebbe la fortuna delle sue battute proprio con la sfortuna dei suoi libri.