La Stampa, 17 settembre 2019
Perché le curve degli stadi sono un far west
La lezione dell’inchiesta di Torino sul ricatto alla Juve finito con 12 arresti è molto semplice: se le società collaborano, le indagini corrono. Ciò detto, ci si chiede perché dopo anni di indagini, intercettazioni, filmati, Daspo, le curve italiane continuino a essere ricettacoli di criminalità, incubatrici di razzismo, di spaccio, di spedizioni punitive e regolamenti di conti. Un far west di cui, nonostante il lavoro delle forze dell’ordine, non si riesce a venire a capo. I motivi sono ovviamente molteplici, ma almeno quattro andrebbero tenuti a mente.
1) Le omissioni. Quanto accaduto ieri con la Juve era già accaduto, più o meno negli stessi termini, al Milan nel 2007. Anche in quel caso ci fu una denuncia dei dirigenti rossoneri cui seguirono arresti che per qualche tempo misero fuori gioco i caporioni ultrà. Poi un recente ministro degli Interni strinse la mano a uno di questi «leader» e il segnale fu inequivocabile: in Curva si può arrivare molto in alto. Per capire in che cosa possa consistere il comportamento omissivo di una società verso i propri ultrà, basta rivedere in moviola quanto accaduto al centravanti dell’Inter, Romelu Lukako, oggetto di cori razzisti durante la partita Cagliari-Inter. Gli ultrà nerazzurri gli mandarono una lettera: «Ci dispiace che tu abbia pensato che quanto accaduto a Cagliari sia stato razzismo… In Italia usiamo certi "modi" solo per "aiutare la squadra" e cercare di rendere nervosi gli avversari, non per razzismo ma per farli sbagliare». Un delirio, un’apologia del razzismo che se indigna una parte dell’opinione pubblica non trova riscontri evidenti nell’Inter: che tace.
2) Il mercato. Le curve sono piazze da 10-20 mila persone che divengono perciò un mercato molto appetibile per la criminalità. Difficile da combattere per la quantità di interessi intrinseci e sotterranei che lo animano e che vanno ben oltre il semplice interesse sportivo per tracimare non di rado in quello politico. Non a caso, nelle dirigenze delle curve siedono balordi ma anche fior di professionisti e imprenditori con alleanze trasversali non sempre di facile lettura. Il «mercato», per sostegno, merchandising e biglietti, interessa ovviamente anche alle società, che dunque permettono alle loro squadre, magari in caso di vittoria, di andare a omaggiare le curve, legittimandole esplicitamente.
3) I Daspo e le inchieste. Per emettere un Daspo ci vogliono prove concrete. Il punto però è che si tratta di provvedimenti amministrativi emessi dai Questori che possono essere impugnati davanti al Tar dove dei giudici amministrativi, magari a digiuno di ordine pubblico e calcio, devono decidere se convalidarli e, molte volte, revocano. Ora, riconosciuta l’urgenza e l’emergenza di tifoserie organizzate fuori controllo, non sarebbe il caso di istituire dei giudici «specializzati»? Lo stesso vale per le procure: sono stati creati pool per la corruzione, la criminalità finanziaria e quella organizzata: non sarebbe ora di creare pool specifici per la violenza dentro e fuori gli stadi?
4) Le architetture. Abbiamo stadi vecchi che non prevedono la parcellizzazione dei vari settori. Così, ad esempio, a Napoli il San Paolo dispone di due enormi curve da 10 mila persone ciascuna. Hai voglia a mettere agenti e telecamere: nessuno riesce a controllare davvero una massa del genere. Dunque vanno fisicamente disarticolate proprio le curve, inventate nuove architetture rendendole spazi come altri e pazienza se si rinuncerà a qualche coreografia e a qualche coro. Il tifo è passione, non guerra tribale.