il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2019
Biografia di Simone Giannelli
Montpellier: Park&Suite Arena Stadium. “Il palleggiatore è un ruolo di servizio, un ruolo se vogliamo umile,” dice di sé Simone Giannelli (palleggiatore azzurro) dopo l’avvio di questo Campionato europeo di pallavolo, che ha visto l’Italia trionfare contro Portogallo, Grecia e ieri la Romania battuta 3-1. “Devi alzare la palla per mettere nelle migliori condizioni il tuo attaccante. Il bello e la difficoltà del ruolo è capire a chi dare la palla, valutare in un attimo chi ha più possibilità di fare punto. E non è solo una valutazione tattica, ma soprattutto umana”.
E di questo ragazzo classe 1996 alto due metri, colpiscono le mani. Le mani di Simone Giannelli sono estese come pianure e con i pollici rivolti all’esterno. Le stesse che ora tiene intrecciate e muove durante l’intervista sono quelle da cui in partita deve passare ogni palla. Il gioco è presto detto: si riceve (o si difende), si palleggia, si attacca. Dei tre tocchi consentiti, a lui spetta il secondo. La sua azione deve inanellare la prima all’ultima. Ed è lì, in questo continuo esercizio di unione, che sta il talento di Simone. Per come gioca, nel mondo dell’arte lo si direbbe un “fantasista”, uno che padroneggia la tecnica, ma vi mescola molta libertà. È uno dei migliori al mondo, ma lui resta ponderato. “I complimenti fanno piacere, ma io gioco per divertirmi. Vado avanti senza crearmi pressioni, con entusiasmo. Anche aiutato dalle persone che fanno parte della mia vita sportiva, la pallavolo è un divertimento”. E pensare che aveva iniziato col tennis: “A tre anni avevo già la racchetta in mano perché mio padre è maestro di tennis. Ho fatto anche sci e calcio. La pallavolo è capitata per caso. Ci giocava mia sorella e al sabato sera andavo a vederla. Sembrava divertente e ho iniziato”.
Cresciuto nel vivaio della Trentino Volley (oggi è il capitano della prima squadra) esordisce in campo a 17 anni in serie A. “Ricordo tutto di quel giorno. Era il 27 ottobre 2013, giocavamo contro Ravenna. Ero il secondo di Jack Sintini già dall’anno precedente e dalla panchina entro per sostituirlo a muro. Battiamo noi, per la precisione Lele Birarelli. Quando la palla torna nel nostro campo, la alzo allo schiacciatore Alex Ferreira. Punto! È stata una grande emozione perché ho dimostrato che meritavo il campo, che potevo starci”. Dopo l’azione, Simone torna in panchina perché il servizio seguente, Birarelli lo sbaglierà. “A fine partita, Lele si è scusato per l’errore, perché ero rimasto poco in campo. Mi ha dimostrato che quando si è campioni, lo si è anche fuori dal campo”.
E tra i campioni della nazionale azzurra (già qualificata per le Olimpiadi di Tokyo 2020), Giannelli milita dal 2015. Senza nessun rimpianto per una carriera mancata da tennista, anche se il suo mito è l’intramontabile Roger Federer, “per l’umiltà” precisa Simone, nella pallavolo ad attrarlo sin da subito è stato il sentimento di squadra. “Far parte di una squadra significa pensare al bene di tutti, anteporlo a ogni tipo di individualismo”. Ma a colpire, della pallavolo, c’è il fatto che non si ha con l’avversario nessuno scontro fisico, il contatto è possibile solo tra compagni. “Dopo ogni punto, fatto o subìto, ci si ritrova in mezzo al campo e ci si abbraccia. Questa è una cosa bellissima per noi giocatori. Con questo benevolo corpo a corpo, ognuno dà la propria energia all’altro, soprattutto nelle situazioni difficili”. Suscitano uno strano, e bellissimo s’intende, effetto le parole di Simone che rivendica con orgoglio anche i suoi famosi baci a Osmany Juantorena, ogni volta che insieme mettono a segno la loro velocissima pipe (attacco dalla seconda linea), tanto che sul web ne è stata fatta anche una gif: “È il mio modo per dire ai miei compagni che sono con loro, che quel gesto tecnico era stupendo”.
Non c’è machismo, né fobie varie nella pallavolo e nelle parole di Simone, che i compagni chiamano “Gian”, “Gianna” ma anche “Principe” (a chiamarlo così, spiega è solo Juantorena). Un ragazzo discreto, il sorriso largo e gli occhi vivissimi, impegnato nel sociale – è “orgogliosamente” testimonial Admo (donatori di midollo osseo) –, che la celebrità non ha cambiato. “Sono legato alla mia famiglia, e alla mia ragazza. Quando voglio staccare, viaggio con loro”. Sul futuro una volta abbandonata la pallavolo giocata è vago, “Non mi vedo come allenatore, vorrei fare altro”. Per adesso, studia Scienze dell’alimentazione, “con scarsi risultati, purtroppo per mancanza di tempo” (sorride), si diletta in cucina ed è goloso di pizza.