il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2019
Modello Usa: indebitarsi per lo studio dei ragazzi
L’articolo 34 della Costituzione afferma che la Repubblica deve garantire il diritto dei “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, a “raggiungere i gradi più alti degli studi”: un obiettivo importante per realizzare una democrazia effettiva che però è ancora irrealizzato. Mentre molte decine di migliaia di diplomati affollano i test di ammissione alle facoltà a numero chiuso, sempre più spesso purtroppo il “pezzo di carta” non basta per costruirsi un futuro, perché l’ascensore sociale è bloccato ormai da decenni. In parole povere, ai neolaureati l’Italia di oggi non offre le stesse opportunità che ha concesso una generazione fa ai loro genitori. Da qui la fuga di cervelli, cervellini e cervelloni che viene registrata tra i fattori che frenano lo sviluppo del Paese. A farle da contraltare, in un paradosso solo apparente, cresce di anno in anno il numero di italiani che si indebitano per pagare ai propri figli un percorso di studi universitario o di ulteriore specializzazione superiore. D’altronde una società che si impoverisce non può che ricorrere al debito nel tentativo di concretizzare il suo obiettivo di scalata sociale. Una spirale, quella delle rate per poter studiare, lungo la quale l’Italia si sta incamminando e che rischia di allinearla alle worst practices, le pratiche peggiori di alcuni altri Paesi occidentali.
Non esistono dati ufficiali sul fenomeno dell’indebitamento delle famiglie per pagare gli studi ai figli. Il che è curioso, visto l’abbondare di statistiche finanziarie registrate in molte sedi ufficiali. Una recente ricerca sull’indebitamento degli italiani elaborata da Federconsumatori sostiene però che l’anno scorso ben 889 mila famiglie italiane hanno chiesto un prestito per pagare gli studi ai figli, per un importo medio di 7.970 euro: si tratta di quasi 7,1 miliardi di debiti. Poco, a paragone dei circa 97 miliardi di debiti complessivi delle famiglie, ma molto per chi deve pagare. Se questo è il dato sul flusso di nuovo debito per gli studi acceso nel 2018, nulla si può conoscere invece sullo stock di debiti accumulati a questo scopo durante gli anni, sul loro rimborso e sulla quantità di famiglie che vi sono coinvolte.
Il motivo per cui gli italiani accendono questi finanziamenti è presto detto: mantenere un figlio all’università, specie se “fuorisede” (sono 600mila gli universitari italiani in questa condizione), può costare oltre 10mila euro l’anno, come spiega Link Coordinamento Universitario, formazione universitaria di sinistra. La cifra può esplodere al doppio o al triplo se l’Alma mater scelta per i figli è privata, o se si tratta di un master postuniversitario. A differenza di altri Paesi europei, però, in Italia gli studenti che hanno diritto a borse di studio sono un quarto rispetto ai loro colleghi in Francia, e l’esenzione dalle tasse è garantita solo al oggi 17,6% degli iscritti, contro il 35% in Francia e il 25% in Germania.
La soluzione proposta dal governo è stata quella di creare accordi con le banche per finanziare il “prestito d’onore”, una forma di finanziamento (in alcuni casi anche sino a 50mila euro rimborsabili in 30 anni) degli studi a condizioni agevolate, senza garanzie e con dilazioni ampie del rimborso, ottenibile però entro una certa età e con requisiti di merito. C’è poi il Fondo per lo studio della Presidenza del Consiglio, garantisce sino al 70% dei finanziamenti per gli studi ottenuti da persone tra i 18 e i 40 anni, con rimborsi tra i 3 e 15 anni. Per quanto agevolato, sempre di debito però si tratta.
Il problema è comunque lo stesso di altri Paesi: l’istruzione universitaria e le scuole di alta specializzazione sono un obiettivo sempre più importante per molti giovani, ma in un’epoca di stipendi che non crescono e di prospettive professionali incerte resta la domanda se il gioco valga la candela. Se lo domandano, ed esempio, i giovani e soprattutto le giovani statunitensi: mentre dal 1987 al 2018 il reddito mediano disponibile di una famiglia negli Stati Uniti è cresciuto del 14%, il costo degli studi universitari è raddoppiato. Ecco perché alla fine dell’anno scorso i prestiti agli universitari erano esplosi a 1.500 miliardi di dollari (1.300 miliardi di euro) dai 500 miliardi del 2006: in 10 anni l’indebitamento per ottenere una laurea si è triplicato in valore assoluto ma, grazie alla crescita del numero degli studenti, si è “solo” raddoppiato a livello procapite.
Dopo la tesi, però, i redditi non sono più quelli di una volta e rimborsare i debiti diventa sempre più difficile: tanto che nel 2018 l’11,4% del debito degli universitari Usa, 166,4 miliardi di dollari, veniva rimborsato in ritardo o era già in default. A patire di più sono le donne e le minoranze: sulle ragazze Usa pesano i due terzi del debito totale, pari a 929 miliardi di dollari, e poiché non esiste parità a livello di stipendi (le laureate, specie afroamericane, sono pagate quasi il 40% in meno dei laureati bianchi), la catena del debito è più difficile da ripagare proprio per chi ne ha invece maggiormente bisogno: le ragazze provenienti da famiglie povere delle minoranze.
Ma il problema del debito universitario non è confinato solo alla sponda occidentale dell’Atlantico. Nel Regno Unito a marzo 2018 i prestiti studenteschi hanno raggiunto i 105 miliardi di sterline (118 miliardi di euro) e ogni anno crescono al ritmo di 16 miliardi di sterline, sulle spalle di oltre un milione di studenti. Nel 2050, di questo passo, arriveranno a 450 miliardi di sterline, oltre 500 miliardi di euro. Il fenomeno dell’indebitamento studentesco sta cominciando a emergere anche in Francia, dove secondo gli ultimi dati dai 200 ai 300mila ragazzi, il 10% della popolazione studentesca, hanno chiesto un prestito per potersi pagare l’università.
Mentre le famiglie si indebitano, c’è anche ci prova ad aggirare il problema iniziando ad accantonare sin da quando i figli sono piccoli risorse finanziarie da destinare nel tempo ai loro studi. Ma non sempre il meccanismo funziona. Alcuni anni fa, ad esempio, la società Arfin promuoveva sul mercato italiano “100 e lode”, una polizza assicurativa che prometteva 120mila euro per finanziare gli studi universitari ai giovani che, a determinate condizioni, avessero ottenuto il massimo punteggio alla maturità. Peccato che nel 2010 la compagnia assicuratrice è finita in liquidazione coatta amministrativa, lasciando a bocca asciutta i clienti che avevano sottoscritto le sue polizze (e pagato i premi) e i cui figli si sono diplomati con il massimo dei voti. Già l’Antitrust aveva già sanzionato la stessa Arfin per la pubblicità ingannevole della polizza “100 e lode”, perché non aveva spiegato con chiarezza che per ottenere i finanziamenti non bastava il massimo dei voti alla maturità ma serviva anche il superamento di alcuni esami di inglese con voti elevati.