Corriere della Sera, 16 settembre 2019
I 20 anni del Grande Fratello
Il reality di noi stessi attraverso le Instagram Stories è il format di questi tempi allo specchio in cui vetrinizzaziamo la nostra vita, sfacciati filmaker della nostra quotidianità, voyeuristici spioni della porta accanto, narcisi osservatori del nostro e altrui ombelico. Ora è dato per scontato. Ma la rivoluzione era partita 20 anni fa esatti, con il Grande Fratello, il format acceso per la prima volta in Olanda (il 16 settembre 1999) e poi divampato nel resto del mondo. In quel momento, spiati h24 dalle telecamere, la tv da finestra sul mondo si è trasformata in buco della serratura sull’intimo.
Leonardo Pasquinelli, oggi amministratore delegato di EndemolShine Italy, era a capo dell’intrattenimento a Mediaset quando Canale 5 mandò in onda (l’anno successivo) la prima edizione: «Ci fu una grande discussione, in azienda c’era chi sosteneva che fosse un programma ai confini della moralità e spingeva per trasmetterlo in seconda serata su Italia 1. La scelta di Daria Bignardi fu essenziale per mitigare l’impatto critico in un Paese cattolico come il nostro». Era il volto giusto per unire alto e basso, per dare un manto borghese e rispettabile a uno show popolare e «indecente». Fu un successo, la finale vista da oltre 16 milioni di spettatori, il 60% di share, personaggi sconosciuti – Cristina Plevani, Pietro Taricone, Marina La Rosa, Rocco Casalino, quel Rocco Casalino – che diventavano famosi. «Questo era l’unico aspetto che il format non prevedeva». Perché le luci su di loro rimasero accese anche dopo, a reality finito.
«Dentro la Casa non avevo percezione di nulla, non avevamo idea dei milioni di persone che ci guardavano, non immaginavamo l’impatto che il reality aveva sia dal punto di vista televisivo sia del costume – racconta la vincitrice della prima edizione italiana, Cristina Plevani —. Una volta uscita fu un vortice, ricordo ancora che quando entrai in studio non riconoscevo i ragazzi che erano stati rinchiusi con me: con trucco e parrucco, vestiti come paggetti, erano irriconoscibili. Io non ero pronta, ero molto ingenua, venivo da un piccolo paese (Iseo, in provincia di Brescia): sono stata sei mesi senza avere un’agenzia di promozione, ho perso un sacco di contratti e possibilità». Oggi fa l’istruttrice di fitness ed è ipercritica con se stessa, pure troppo: «Ero bruttina, non ero brava a valorizzarmi, ero noiosa e patetica, insomma una sfigata. Una così oggi mi darebbe i nervi, non mi sarei mai televotata. Penso che mi scelsero perché avevo perso da poco i genitori: la ragazza sensibile orfana». Come l’Oliver Twist di Dickens, ma dentro Orwell.
Prima del Gf, dopo il Gf: da allora la tv è cambiata. «Indugiare sulla faccia di uno che sta zitto fu dirompente nel linguaggio televisivo – spiega ancora Pasquinelli —. Il Gf ha introdotto formule che ora sono consuete ma che non erano mai state applicate prima di allora: il concetto di eliminazione non esisteva, nei contest c’era solo il vincitore, non l’eliminato. Anche le nomination erano una novità». Il senso del pudore abbassò l’asticella, il limite dell’esibizionismo alzò il confine.
Grande Fratello ha avuto un impatto televisivo (ha cambiato il linguaggio), un impatto industriale (ha fatto nascere un genere), un impatto sul costume. Che Pasquinelli però ridimensiona: «Un certo tipo di esibizionismo e narcisismo sarebbero emersi anche senza Gf: non sarebbe cambiato nulla, Instagram sarebbe nato lo stesso». Con il suo primo comandamento: non avrai altro Io all’infuori di Me. E il suo corollario cartesiano, «appaio dunque esisto».