La Lettura, 15 settembre 2019
Intervista a Jo Nesbø
Tra i dieci comandamenti del maestro dell’hard-boiled Raymond Chandler ce n’è uno che rappresenta l’essenza delle storie noir: «Confondi il lettore». Jo Nesbø (1960) ha fatto sua la regola di Chandler sin dall’esordio, nel 1997, con Il pipistrello, e da allora l’ha sempre rispettata. Nella nuova avventura del commissario Harry Hole, la dodicesima, intitolata Il coltello (in Italia esce il 17 settembre per Einaudi Stile libero), Nesbø impiega meno di trenta pagine per catturare la nostra attenzione e confonderci.
Il romanzo si apre con tre scene all’apparenza slegate tra loro. Prima veniamo trasportati nel mondo enigmatico di un uomo anziano, immobilizzato da un ictus, seduto in un negozio che vende articoli da caccia e pesca. Poche righe più sotto la scena cambia e siamo testimoni del brutale stupro di una donna. Solo dopo ritroviamo Harry Hole, nel momento in cui si risveglia nel suo appartamento di 40 metri quadri a Oslo con le mani sporche di sangue e dopo una notte passata a bere. Ci vorrà l’abilità del grande narratore per cucire insieme questi elementi e svelare il loro legame solo alla fine.
Il mondo di Harry Hole è cambiato da quando la moglie, Rakel, lo ha cacciato di casa. Insieme alla dipendenza dal whisky è ricomparso l’assassino e stupratore seriale Svein Finne, di nuovo in libertà dopo che Hole lo aveva fatto rinchiudere in carcere. Quando la polizia troverà il corpo senza vita di Rakel, uccisa a coltellate, il primo pensiero di Harry non potrà che andare a Finne.
In occasione dell’uscita del nuovo libro abbiamo raggiunto Nesbø al telefono nella sua casa di Oslo. Lo scrittore ha svelato a «la Lettura» anche la sua personale classifica «crime», che comprende, oltre a due classici del genere di Jim Thompson, Le colonne della società di Ibsen (la miglior opera teatrale crime), Sin City (il miglior fumetto crime) e Il padrino (il miglior film crime).
Già dalle scene iniziali il libro si preannuncia denso di colpi di scena. Cercava di confondere i lettori?
«Volevo presentare sin da subito i protagonisti della storia. L’uomo anziano seduto nel negozio è una figura metaforica, che ha a che fare con l’idea di futuro. È un modo per dire ai lettori: questa è la direzione in cui andrà il romanzo. Subito dopo entrano in scena i due rivali, il protagonista e l’antagonista, Hole e Finne».
Harry Hole non se la passa molto bene...
«Dopo aver raggiunto per qualche tempo una tranquillità interiore – il matrimonio con Rakel e il posto di insegnante alla scuola di Polizia, la relazione con il figlio adottivo Oleg, che arriva a chiamarlo papà – Harry è tornato al punto d’inizio. Anzi, sta molto peggio. Si è trasferito in un appartamento che si trova nello stesso stabile, ma un piano più sotto, dove viveva prima di sposarsi. È un ritorno al passato, simbolico e fisico, che ci dice molto della sua condizione attuale».
Secondo la critica questa è la migliore avventura di Harry Hole. È d’accordo?
«È difficile per me dare un giudizio oggettivo, anche se sono contento che si sia creato tanto entusiasmo intorno al libro. Non credo di avere scritto qualcosa di diverso rispetto alle scorse avventure di Harry Hole. Tuttavia, ne Il coltello ho dedicato ancora più spazio al dramma umano del protagonista. È come se gli eventi che ho narrato nei capitoli precedenti trovassero qui nuovi significati, come se i fili di una storia lontana si riannodassero. A volte le reazioni del pubblico e della critica sono spiazzanti: certi passaggi dei miei romanzi che per me non funzionavano hanno ricevuto giudizi positivi, altri che a me piacevano sono stati stroncati. Non dimenticherò mai la lettera di un fan che si lamentava di Sangue e neve, che io considero uno dei miei romanzi più riusciti, nella quale mi chiedeva di restituirgli i soldi spesi per comprare il libro, tanto lo aveva odiato».
Lei che ha fatto?
«Glieli ho spediti! Ero rimasto talmente colpito dalla cura con cui aveva argomentato la sua critica che mi sono sentito in dovere di dargli indietro i soldi».
Leggendo «Il coltello» si ha la sensazione che il modo di pensare dell’assassino e quello del poliziotto si assomiglino molto. Che il confine tra bene e male sia più sottile di quanto crediamo.
«Decisamente. È come se i protagonisti fossero l’uno lo specchio dell’altro, entrambi angosciati da simili dilemmi morali. Scopriremo più avanti nel romanzo che Harry ha il terrore di essere l’assassino, il marito che ha ucciso la moglie. L’unico modo che ha per liberarsi da questo tormento è tornare sulle tracce di Svein Finne e scoprire la verità. L’idea che l’uomo che sta dalla parte della legge, il buono, nasconda dentro di sé l’istinto dell’omicida è uno dei temi più stimolanti del romanzo. Il grande criminologo norvegese Nils Christie (1928-2015) affermava che il “crimine non esiste”, perché è un concetto dettato dalle convenzioni sociali e culturali che ci definiscono dalla nascita, e che il nostro agire morale, positivo o negativo che sia agli occhi della società, è il risultato dell’ambiente circostante. Ma io non cerco di dare risposte a temi filosofici. Io racconto una storia».
Pensa che Harry sia capace di fare del male?
«Sì. Anche se dipende da che cosa intendiamo quando ci riferiamo al “male”. Secondo le leggi della guerra, per esempio, i cattivi sono soltanto quelli che perdono, anche se tutti, vincitori compresi, sono stati responsabili di massacri e violenze. Il fatto che Harry stia dalla parte della legge lo fa apparire come un personaggio positivo. I lettori gli perdonano tutto, anche quando si trova dalla parte del torto. Ma Harry Hole è capace di compiere azioni malvage e può trasformarsi nel cattivo».
Anche le persone buone possono fare del male?
«Sì. Anche i buoni fanno del male».
Tornare a dare la caccia a Finne è per Hole un modo di sistemare i conti con il passato?
«Harry inseguirebbe qualsiasi criminale. È il suo lavoro. Finne aveva minacciato la famiglia di Hole dopo che il detective lo aveva fatto rinchiudere in carcere. E Hole sa che manterrà la sua promessa. Inseguire Finne significa evitare che accadano altre tragedie».
La musica è un tema costante nei suoi libri. Lei in Norvegia non è solo uno scrittore di bestseller ma anche una rockstar, con la sua band Di Derre. Tra le pagine de «Il coltello» compaiono il cantautore Hank Williams e il gruppo dei Ramones. Che cosa aggiunge la musica alla narrazione?
«Ogni scrittore ha la tentazione di inserire nei propri romanzi qualcosa che lo riguarda da vicino. Anche se apparentemente non c’entra nulla con la trama. La musica definisce i protagonisti di una storia, così come lo farebbe la libreria di casa. Ci dice quali sono i loro gusti, le loro passioni. Le canzoni malinconiche di Hank Williams mi servivano per definire certi personaggi».
Il libro narra la dolorosa perdita di un amore.
«La natura della serie di Harry Hole è tragica. E in una tragedia la morte, la perdita degli affetti, è un elemento fondamentale. Nel romanzo c’è una forza di gravità che trascina tutto verso il lato oscuro, che preannuncia la tragedia. Harry lo ha sempre saputo, anche nei momenti più felici. Sapeva che stava camminando sulla lama di un coltello e che la sua felicità sarebbe svanita presto».
Il coltello, l’oggetto che dà il titolo al libro, ha un significato che va oltre quello letterale?
«Non è un titolo molto poetico, ammetto. Doveva essere un titolo temporaneo, ma alla fine si è rivelato quello più azzeccato. Ci sono due domande alla base di questa storia: perché uccidiamo? E che cosa ci impedisce di farlo? Il coltello costringe l’assassino ad avvicinarsi alla propria vittima e, in un certo senso, a rispettarla. Per uccidere qualcuno con un coltello devi avere il coraggio di avvicinarti. Scrivendo il romanzo ho provato a esplorare che cosa passi per la mente dell’assassino che cerca questo contatto fisico, che cosa provi quando è finalmente vicino alla sua preda».