Corriere della Sera, 15 settembre 2019
Le sanzioni di Trump e il precedente di Pearl Harbor
La storia non si ripete e gli eventi storici non sono mai eguali. Ma vi sono casi in cui esistono somiglianze che meritano una particolare attenzione. Se non è già stato fatto, qualcuno dovrebbe segnalare a Donald Trump che la sua guerra delle sanzioni, scatenata contro l’Iran dopo avere denunciato un trattato sul nucleare iraniano che era stato solennemente firmato dal suo predecessore, ha un interessante precedente storico.
Accadde fra il 1940 e il 1941, mentre le maggiori potenze europee erano tutte impegnate in un conflitto che sarebbe durato fino al maggio del 1945. Il Giappone aveva grandi ambizioni asiatiche e stava approfittando della guerra europea per allungare le mani sulla Cina, sull’Indocina francese, sui possedimenti britannici e su quelli olandesi. Gli Stati Uniti non erano direttamente coinvolti, ma consideravano il Pacifico un cortile di casa e cercarono di convincere Tokio a ritirare le sue truppe dai territori occupati, soprattutto in Indocina. Quando non vi riuscirono, congelarono i beni giapponesi in territorio americano e proclamarono un embargo che privava il Giappone, fra l’altro, di minerali e petrolio. Vi fu uno scambio di note diplomatiche, ma le proposte americane sembrarono ai giapponesi un ultimatum e l’embargo, in particolare, fu considerato un atto ostile a cui era lecito reagire militarmente. La guerra cominciò a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 quando 350 aerei giapponesi, fra le 6 e le 7 del mattino di una giornata che fu definita infame, distrussero una larga parte della flotta americana. La guerra fu vinta dagli Stati Uniti quattro anni dopo, grazie all’uso di un’arma che nessun Paese da allora ha osato impiegare contro i suoi nemici. Nonostante gli eccellenti rapporti stretti fra i due Stati dopo la fine del conflitto, esistono ancora, quindi, diverse rappresentazioni di Pearl Harbor: una operazione vile e piratesca, secondo gli americani; la naturale reazione di un Paese che veniva privato di ciò che era necessario alla sua sopravvivenza, secondo i giapponesi. Le sanzioni, da allora, sono divenute sempre più frequentemente uno degli strumenti preferiti della politica internazionale. Ma gli americani, in molti casi, sembrano farne un uso azzardato e rischioso, applicandole con criteri extraterritoriali anche là dove non sono padroni di casa. Se continueranno a impedire che l’Iran faccia uso della sua sola ricchezza vendendo petrolio sui mercati internazionali, il Paese degli Ayatollah potrebbe essere presto nella situazione di una città assediata. Nel Medio Evo avevano poche alternative: morire di fame, arrendersi e consegnare le chiavi nelle mani del nemico, o cercare di rompere l’assedio con una sortita, come accadde nel 1941 a Pearl Harbor. A Donald Trump ricorderei che l’Iran, per un pezzo di territorio, ha combattuto contro l’Iraq una guerra durata 8 anni.