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 2019  settembre 15 Domenica calendario

Il calcio proibito in Iran

Tre decisioni arbitrali, molto discutibili, tutte e tre a favore della Nazionale: due hanno spianato la strada a Mancini, una a Nicolato. Non possiamo lamentarci. Se dico Mancini, penso che presto avrà problemi d’abbondanza in un settore fino a poco fa carente d’interpreti: il centrocampo.
Rivisto ieri, Castrovilli è già un signor centrocampista, anzi tuttocampista. Se dico Nicolato, penso che da tempo non si vedeva un tecnico così tranquillo in panchina, così misurato nei gesti. Si dovrebbe tornare a Zeman, a Liedholm.
L’Under gioca bene, d’altra parte non si vince uno scudetto Primavera col Chievo (2014) se non si è buoni maestri. Temo che dovrà impegnarsi in ulteriori lezioni a Zaniolo e Kean: andarsi a cercare cartellini gialli così stupidamente è un brutto segnale. A meno che non si voglia seguire l’esempio di Sergio Ramos, che è già arrivato a 24 cartellini rossi in carriera. Intervistato dalla Gazzetta, la domanda per lui è: «Il suo intervento su Salah nella penultima finale di Champions è stato ampiamente criticato: come ha reagito a queste opinioni?». La risposta: «Sono un professionista, rispetto le critiche e convivo con esse.
Non permetto però che intacchino le mie prestazioni».
Non è ben chiaro il concetto. Le critiche arrivano dopo, non prima o durante. Le prestazioni, semmai, possono essere intaccate o macchiate, dipende dai punti di vista, da interventi di bassa macelleria come quello su Salah.
D a un’intervista all’altra: Kevin-Prince Boateng, su Repubblica . Sei anni fa a causa dei buu lasciò il campo durante l’amichevole Pro Patria-Milan.
Di recente a Cagliari è stato preso di mira Lukaku. Siamo sempre lì. «Ma penso anche al bambino di tre anni preso a calci a Cosenza per il colore della sua pelle, è l’episodio che mi fa più male. I cori allo stadio vogliono ricordarci di quando i nostri nonni erano schiavi. Ma chi fa quei cori, prima che razzista è un ignorante. E l’ignoranza va abolita. A scuola, introduciamo un’ora di integrazione: dobbiamo ripetere ai bambini che siamo tutti uguali. Loro sono il nostro futuro». E che futuro pensa per i suoi due figli? «Un mondo in cui non ci sia assuefazione al male. Parliamo più di un gol di Ronaldo che di quel che accade in Egitto, delle guerre, dei morti. Quasi non facciamo più caso alle tragedie».
G ran bel proposito abolire l’ignoranza, che oggi da troppi è considerata un valore e non una carenza, una bandiera di cui andar fieri e non una vergogna. Le tragedie ci arrivano addosso, a seconda della sensibilità individuale, e si commentano, per un giorno o due. Qui voglio ricordare Sahar Khodayari, iraniana, 30 anni, colpevole di amare il calcio e di andare allo stadio come si fa in quasi tutto il mondo, ma non nel suo Paese.
È morta per ribadire questa voglia di piccola libertà, voglia che non era solo sua. Tifosa dell’Esteghlal, la squadra di Teheran allenata (forse non più) da Stramaccioni, s’è vestita da uomo e il 12 marzo è entrata nello stadio, nonostante il divieto per le donne. Scoperta e denunciata, incarcerata per tre giorni, in attesa di processo.
Sarebbe stata condannata almeno a sei mesi, il massimo della pena è due anni. Sahar lo sapeva, e prima della sentenza si è data fuoco. È morta dopo una settimana. In carcere è ancora Forough Alaei, fotografa specializzata in servizi su donne e stadio in Iran. Ogni tanto la Fifa minaccia sanzioni se non sarà cancellata questa discriminazione: escludere l’Iran dalle qualificazioni per il Mondiale 2022, ad esempio. Ma è come un gioco delle parti, la farsa che entra nella tragedia. Il 10 ottobre Iran- Cambogia, prima partita di qualificazione.
La federcalcio iraniana ha già annunciato che lo stadio sarà aperto anche alle donne. Non tutte, solo famiglie scelte. E poi chissà, vedremo cosa bela la Fifa. Ma noi qui, calcio femminile e calcio maschile, ultrà e no, cos’abbiamo fatto per Sahar e la sua vita bruciata? Niente, nemmeno uno striscione.
P er chiudere, si fa per dire, con Brera, ecco un messaggio dalla provincia di Brescia. Scrive il lettore Carlo Forlani: «Sono un Senzabrera di 50 anni. Devo a mio padre la conoscenza di Brera e sto cercando di trasmettere questo "sacro fuoco" ai miei figli. Con tutta la famiglia l’8 settembre sono andato al cimitero di San Zenone.
Pochissima gente sulla sua tomba. La foto sbeccata e i fiori di plastica hanno dato il colpo di grazia. Forse i Senzabrera sono sempre meno». Tolga pure il forse. Certamente sono, siamo sempre meno. Ma continuiamo a esserci, come dimostra questa poesia che Federico Pesci ha inviato dalla provincia di Bologna. "Hai ancora addosso/ quell’impermeabile di nebbia,/un bacio roco di bonarda/ e i sapori di un riso d’oltrepò./E ti ascolto,/gran lombardo di sabbione,/mentre prendi in contropiede/le sessantadue contrade d’accademia,/le astuzie rifinite degli abatini,/le volute, come rombi, senza tuoni". Per richiudere o socchiudere serve un verso di Jacques Prévert (uno che fumava più di Brera): "Le jardin reste ouvert pour ceux qui l’ont aimé".