la Repubblica, 15 settembre 2019
Hong Kong, il nuovo inno degli studenti
«Ancora! Ancora!». Una volta sola non basta. Ora che hanno un inno in cui si riconoscono davvero, i ragazzi di Hong Kong non smetterebbero mai di cantarlo. Davanti al molo di Central, il famoso ferry che attraversa la baia, oggi ci sarà un migliaio di liceali, adolescenti per nulla aggressivi, l’unica manifestazione che le autorità abbiano autorizzato nel weekend. E a grande richiesta il dj riattacca la musica, una marcia tutta archi e patriottismo: «La libertà appartiene a questa terra / gloria a Hong Kong», intonano gli studenti in cantonese, agitando i telefoni con la lampadina accesa, trascinando nel ritmo i pochi adulti presenti. Nessuno ha più bisogno di leggere le parole, dopo due settimane passate a ascoltarle e ripeterle. E del resto le ha scritte uno di loro, un misterioso musicista di nome “Thomas”, condividendole il 31 agosto sui forum della protesta. «Rappresenta quello che siamo», dice con occhi lucidi Maggie, una ragazzina con la mascherina e la coda. Lì dietro c’è Lady Liberty, la statua in cartongesso alta quattro metri di una manifestante con ombrello e bandiera. Maggie le assomiglia.
E così il movimento di Hong Kong ha trovato la sua colonna sonora. Musica c’è sempre stata, ma finora già sentita: l’Alleluja al Signore salmodiata per ore dai cristiani di fronte alla polizia, “Senti il popolo cantare?”, dal musical I miserabili, rispolverata dal repertorio degli Ombrelli di cinque anni fa; non portò bene. Gloria a Hong Kong invece è uno slancio nuovo, un milione di visualizzazioni su Youtube, l’ennesimo impeto creativo della protesta, e ora l’obiettivo è farla risuonare ovunque, dalle vette delle colline ai centri commerciali. Meglio ancora se nel frattempo si fischia l’inno cinese, come è successo martedì allo stadio durante la partita di qualificazione mondiale contro l’Iran. Hong Kong vuole seguire il proprio spartito.
Solo che nel frattempo i partigiani filo-Pechino sono partiti alla riscossa, dandosi appuntamento negli stessi mall con bandieroni rossi e il testo della Marcia dei volontari, l’inno della Repubblica Popolare. E dopo giorni di sfida a chi canta più forte, ieri si è passati alle mani. Prima a Fortress Hill, roccaforte del consenso verso Pechino, dove un gruppo di uomini con maglietta “Amo la polizia” azzurra, tinta di chi tifa establishment, ha picchiato dei ragazzi. Poi nello scintillante centro commerciale di Amoy Plaza, dove decine di manifestanti rosso comunista hanno prima distrutto un “Lennon wall”, i muri di Post- it simbolo del movimento, e poi ingaggiato una zuffa con i giovani mascherati arrivati sul posto. Bandiere cinesi contro ombrelli, strattoni e pugni, sotto gli occhi di clienti e commessi barricati nei negozi. Un bilancio di 25 feriti, non gravi. E il segno di una tensione montante tra gruppi anti-Cina e pro-Cina, guerriglia civile in mezzo a cui la polizia, che anche ieri ha fermato solo ragazzi, è accusata di parteggiare per i secondi.
Nel complesso però non si sono viste scene di violenza paragonabili a quelle delle ultime settimane. Questo quindicesimo weekend di protesta coincide con la Festa di Metà autunno e il governo di Carrie Lam, dopo il ritiro della legge sull’estradizione, sta facendo di tutto per incassare un ponte senza molotov o proteste oceaniche. Quella proclamata per oggi dal Civil Human Rights Front, la sigla dietro le marce fiume degli ultimi mesi, non è stata autorizzata. Una scelta rischiosa, che in passato ha solo gonfiato la rabbia. Sui gruppi del movimento circolano inviti a scendere comunque in strada. Testo e musica, ovviamente, di Gloria a Hong Kong: «Alle armi / rivoluzione del nostro tempo».