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 2019  settembre 15 Domenica calendario

Come si aggira il decreto sicurezza

I 300.000 euro di multa inflitti pochi giorni fa dal prefetto di Ragusa al capitano della Eleonore Claus Reisch e il sequestro della nave della Ong tedesca Lifeline nel porto di Pozzallo sono certamente gli ultimi dell’era Salvini al Viminale. Ma potrebbero essere anche le ultime sanzioni contro le Ong. Il nuovo governo, in attesa di modificare il decreto sicurezza bis secondo le indicazioni del presidente della Repubblica, sembra già aver trovato la strada per neutralizzarlo.
Come ha fatto, in costanza di legge, il Viminale ad assegnare il porto sicuro alla Ocean Viking?
Il decreto sicurezza bis non obbliga il ministro dell’Interno a vietare l’ingresso in acque territoriali alle navi che trasportano migranti. Farlo è una facoltà del ministro, e solo se l’imbarcazione viene considerata «non inoffensiva» per la sicurezza nazionale. Nel caso della Ocean Viking, la ministra Luciana Lamorgese non ha ritenuto di proporre ai colleghi delle Infrastrutture e della Difesa alcun divieto di ingresso, e ha assegnato il porto solo dopo che Palazzo Chigi ha ottenuto la redistribuzione dei migranti in altri Stati europei.
È il meccanismo automatico di redistribuzione delle persone soccorse che l’Italia sollecita?
Non ancora. C’è una trattativa in atto tra gli Stati membri per stabilire a priori dei criteri di suddivisione, e far sì che le navi che soccorrono migranti possano attraccare in tempi rapidi nei porti più vicini, di solito Italia e Malta, per poi trasferire le persone negli altri Paesi entro un mese. Se ne discuterà a Malta il 23 settembre.
Nel frattempo, si procede come si è fatto finora, con la commissione Ue che, caso per caso, cerca l’adesione di Paesi volenterosi.
Ma come avviene questa redistribuzione?
Le persone soccorse vengono identificate negli hotspot e, dopo la verifica dei requisiti e la presentazione della richiesta di asilo, attendono la visita delle commissioni inviate dai Paesi europei che hanno dato la disponibilità ad accoglierne una parte secondo quote che, al momento, sono concordate di volta in volta. Fino ad ora i Paesi di approdo, Italia e Malta, sono riusciti a trasferire soltanto migranti le cui caratteristiche fanno ipotizzare che possano essere loro concessi lo status di rifugiato o la protezione internazionale.
Qual è la percentuale di persone ricollocate rispetto a quelle arrivate?
Uno studio dell’istituto Ispi ha rilevato che, su 1.359 migranti sbarcati in Italia negli ultimi 14 mesi da 24 navi che sono rimaste per giorni bloccate in attesa di una soluzione condivisa, soltanto il 44 per cento sono poi stati effettivamente redistribuiti in altri Paesi europei, nonostante la disponibilità iniziale fosse maggiore.
E perché gli impegni non sono stati onorati?
Spesso è accaduto che le commissioni d’asilo inviate dagli altri Paesi non abbiano trovato tra le persone sbarcate un numero di aventi diritto pari a quello che si erano impegnate ad accogliere. In molti casi, come avvenuto ieri per la Ocean Viking, è stato però stabilito che gli Stati membri prendessero comunque quel numero di persone, selezionandole tra altre con i requisiti richiesti già presenti nei centri di accoglienza, in modo che il saldo di persone entrate e uscite dall’Italia fosse comunque zero.
E gli altri che fine hanno fatto?
Tutti gli altri, i cosiddetti migranti economici o comunque persone alle quali non è stata riconosciuta alcuna forma di protezione, sono rimasti nei Paesi di primo approdo.
Il loro numero, anche per effetto del decreto sicurezza, che in Italia ha ristretto di molto i criteri di concessione dei permessi di soggiorno, abolendo di fatto la protezione umanitaria, è lievitato di diverse migliaia. In teoria vanno tutti espulsi e rimpatriati, in pratica la maggior parte riceve un decreto di espulsione, ma viene lasciata libera di andare dove vuole.
A carico di chi sono questi rimpatri?
È uno dei punti dolenti che rendono difficile l’accordo per la redistribuzione automatica. Il rimpatrio di chi non rientra nella redistribuzione è a carico del Paese di approdo, che deve sostenerne le spese ma che, soprattutto, è impossibilitato a rimandare i migranti a casa in assenza di intese bilaterali con i loro Paesi d’origine.