il Giornale, 15 settembre 2019
La Dama bianca e Coppi
Il lato finestrino è una scelta di vita. Farsi portare. Affidarsi al guidatore. Il solo libero di stabilire la velocità, decidere le soste, scegliere la strada da percorrere. In una delle centinaia di foto che hanno immortalato Giulia Occhini e Fausto Coppi, negli anni del loro tormentato amore, Giulia era al volante della loro Lancia Aurelia. Uno scatto braccato. Rapido. In scia. Istantanea che ho cercato di ritrovare mille volte, senza successo, nella quale il fotografo aveva, inconsapevolmente, immortalato l’intimità di un amore. Giulia guardava dritto davanti a sé con le mani, avvolte in un paio di guanti bianchi, stringeva il volante con la sinistra, il corpo leggermente sbilanciato in avanti mentre girava con la destra la chiave dell’accensione. Fausto con le spalle al finestrino la guardava con la dolcezza avvolgente che si deve non solo alla persona amata ma a chi vuoi proteggere da tutto.
Fausto ha sempre voluto Giulia al volante. Della loro vita. Del loro contrastato amore. Additato. Giudicato. Vessato. Come accade spesso con tutto ciò che sfugge alla forma ed esprimine sostanza.
Fu un autografo a farli incontrare. Domenica 8 agosto 1948. Al termine di una tre Valli Varesine memorabile dove sulla Gazzetta dello Sport l’indomani Guido Giardini avrebbe scritto: «Mai vista tanta gente a una corsa ciclistica». Annegata nella folla, trascinata e spinta dalla passione di suo marito, il dottore Locatelli Coppiano, sfegatato, c’era anche lei Giulia Occhini moglie e madre di una bimba di due anni, Loretta, detta Lolli, nata nel 1946 anno magico di Fausto alla Bianchi. Quella domenica di corse il Campionissimo era già marito di Bruna e papà di Marina.
I loro sguardi s’incrociarono fulminei sulla scala dell’hotel dove Fausto alloggiava con la sua squadra, su insistenza di Giulia, che lo aveva visto vincere, lui le offrì una sua foto con dedica. Una firma. Un saluto niente di più. Fuori la calca. Il caos del Paese che si esaltava e viveva in bicicletta. Tanto che il professor Calamandrei, alias Totò, aveva vinto quell’anno sul grande schermo il Giro d’Italia, mentre a Hollywood i Ladri di Biciclette di De Sica qualche anno dopo sarebbero tornati a casa con l’Oscar per il miglior film straniero. Giulia e Fausto però hanno poco dei personaggi del neorealismo. Esistenzialisti, questo sì, quando sceglieranno di stare insieme. Se ne accorgeranno quando le cartoline, le telefonate, i pranzi in famiglia gli incontri fugaci alle corse, non si riveleranno altro se non cemento di un amore. Sbagliato. Ingiusto. Punibile. Osceno. Amore da negare fino all’ultimo bacio prima di far esplodere due vite dall’apparenza perfette. Agiate e quel tanto noiose da rappresentare lo status ideale dell’epoca che nella famiglia identificava quanto di più sacro.
...Ti amo Giulia. Ti amo Fausto. Ma non si può cambiare tutto. Restiamo amanti. Mai...
Fausto è uomo coraggioso, non solo quando se ne va staccando tutti in bicicletta. Giulia è innamorata. Per la prima volta nella sua vita. Lei che a ventidue anni si è sposata, qualche settimana dopo averlo conosciuto, con un uomo di quindici anni più vecchio di lei pur di sfuggire alla fame e agli incubi tormentati dal suono delle sirene dei bombardamenti che hanno reso le ragazze della sua generazione tutte un po’ folli. Quelle Figlie della guerra madri e sorelle al massimo fidanzate. Mai amanti. Mamme sante. Regine del focolare bigotto e puritano che in Italia agli anni del Boom ci arriva chiudendo occhi, bocca e orecchie davanti alle famiglie parallele. E mentre lo scandalo Bergman-Rossellini tiene banco sui giornali, e corna e tradimenti sono all’ordine del giorno, «La donna Sanadon è felice» strilla una réclame di uno sciroppo per combattere i dolori mestruali. Sana. Sorridente è dotata di dentatura perfetta. Il decalogo della brava moglie cattolica recitato a memoria e che deve occuparsi della casa, fare figli e sorridere. Sempre.
Il Divorzio non esiste. I problemi li regola il delitto d’onore (abrogato nel 1981). Le famiglie non si rompono. Mai. Eppure Fausto e Giulia s’innamorano. Perdutamente. «Mi sei necessario come l’aria», «amore caro e raro», «sempre tuo», «solo tua»... si scrivono. Al mondiale di Lugano, nell’agosto del ’53, Fausto in maglia iridata la mostra al mondo regalandole i suoi fiori. La signora con la camicetta nera in tribuna, alle sue spalle, viene celebrata come una vincitrice. A Varano Borghi in casa Locatelli il Natale del 1953 è solo per i bambini: una bambola per Lolli che ora ha sette anni. Un trenino per il piccolo Maurizio che ne ha solo due. Nel 1954 Giulia è già per tutti la Dama Bianca, galeotto un Montgomery immacolato indossato sul traguardo del Giro: «Ci faranno a pezzi Fausto, ci distruggeranno...». «Si va Giulia. Via. Insieme».
Per adulterio lei finirà in prigione, pena prevista solo per «l’adultera». A Fausto toglieranno il passaporto. Il 9 settembre del 1954 Giulia è incinta quando entra nel carcere di Alessandria. Il Giudice Augusto Mazzoni, grande inquisitore che perseguiterà la coppia da nord a sud braccandoli in tutti gli alberghi d’Italia, la fa mettere in cella con due prostitute, sue informatrici, con l’intento di farsi rivelare particolari intimi delle sue relazioni sessuali con Fausto. Giulia piange in silenzio. Le detenute sputano in terra al suo passaggio. Fausto le fa recapitare ogni giorno pasti caldi dal ristorante e nasconde biglietti d’amore nella scatola dei cioccolatini.
Al processo, che si aprirà a marzo del ’55, saranno chiamate a testimoniare le bambine Lolli e Marina. Anche la Pravda avrà un inviato a seguire le tormentate vicende personali di Coppi.
«Tornerebbe con sua moglie» chiede il Giudice. «No», risponde Fausto.
Nel maggio del 1955 Giulia va a partorire in Argentina. Laggiù Faustino potrà chiamarsi Coppi. In Italia no. La legge impone cosi. Il marito è il padre del figlio concepito durante il matrimonio. Per la legge Locatelli è il papà.
Fausto le prova tutte. Ma deve arrendersi. Alla fine riescono a vivere finalmente a Villa Carla. Saranno pochi gli anni che trascorreranno insieme, niente per la portata dei loro sentimenti. Ma ora sono una famiglia, anche se non ufficialmente: Fausto, Giulia e Faustino. Giulia ha sempre portato la fede. Non le serve una benedizione. Vuole tempo e pace per godersi il suo amore che talvolta stenta, batte le ali affaticato e stanco. Schiacciato dal peso della realtà. Fausto continua a pedalare sempre più lentamente. I contatti. Un’altra kermesse. Un Criterium. Un safari. L’ultimo dicembre insieme. Un film al cinema, L’ultima spiaggia. Una battuta nella riserva di caccia nella tenuta di Incisa Scapaccino. La febbre che non scende. Il concerto di Fred Buscaglione in diretta Tv dalla Bussola la sera del 31 dicembre. Lasciate la porta aperta, voglio ascoltare la musica. Un bacio a Faustino. Un bacio a Giulia.
La morte se lo porta via il due gennaio del 1960. Un giorno privo di sole e di vento tagliente come la condanna di Giulia alla vita. Niente è più.
«Signore prendi i miei figli e lasciami il Fausto». Giulia pronuncia questa frase durante l’agonia di Fausto. La riafferma in tv vent’anni dopo. Anno 1980, trasmissione Quando Coppi correva in bicicletta:
«Signore prendi i miei figli e lasciami il Fausto».
Giulia maledetta ad vitam aeternam. Solo sua figlia Lolli la assolse.
«Sai mamma non ho mai provato quello che tu sentivi per il Fausto, ma se avessi amato qualcuno come tu adoravi lui nella tua situazione avrei detto anch’io le stesse cose». Giulia muore il sei gennaio del ’93 sopravvissuta a Fausto e annientata dalla perdita della sua adorata figlia Lolli, scomparsa prematuramente per un tumore a trentaquattro anni.
Giulia è rimasta in coma oltre 522 giorni.
Il mondo non le ha mai perdonato di avere reso mortale un mito. È rimasta sempre l’altra, l’amante, la madre di un figlio illegittimo. Una peccatrice. Una traditrice. Una che avrebbe preferito piangere i suoi figli e non il suo uomo.
Processata e mai assolta Giulia. Troppo moderna per la sua epoca.
Oggi non sarebbe una notizia. Forse due righe. Un post su Instagram o un cinguettio su Twitter niente di più. Eppure tornando all’immagine limpida che ho impressa negli occhi di loro due in macchina, mi piace pensarli sempre cosi vicini. Distanti da tutto. La strada davanti e il mondo che gli scorre accanto. Lui nel suo paltò cammello. Lei avvolta nella sua cappa di velluto.
Pronti ad andare alla vigilia di un viaggio. Le valigie nel bagagliaio. La casa chiusa e l’ultima occhiata per vedere se tutto è a posto.
La chiave nel quadro che gira, il motore che si fa sentire.
Il cielo sopra la testa e gli occhi in tasca al cuore dell’altro. Ti amo Giulia. Ti amo Fausto. L’auto si allontana con i finestrini abbassati mentre il vento scivola tra di loro rendendoli una sola piccola vela di luce. Altre strade vi stanno aspettando, nuovi luoghi che solo voi potrete abitare dove l’amore è tutto quello che sappiamo dell’amore come scriveva Emily Dickinson.