Libero, 14 settembre 2019
Ecco le razze più intelligenti
“Verso il ritorno di una scienza razzista?”. È la scivolosa domanda dell’ultimo numero del settimanale parigino Le Point, dedicata al grande tema del quoziente intellettivo, oggetto di polemiche e scontri spigolosi soprattutto nelle università anglosassoni. È proprio lì, tra i templi della sinistra liberal americana e i grandi atenei britannici, che si concentra il dossier del Point, partendo dall’intervento sul New York Times del rinomato genetista dell’Università di Harvard David Reich, autore del libro “Chi siamo e come siamo arrivati fin qui”, nel quale abbatte il dogma secondo cui non ci sarebbero differenze biologiche tra le popolazioni umane. «Come genetista, non è più possibile ignorare che esistono delle differenze tra “razze”», scrisse nel marzo del 2018 sul Nyt, spiegando come sia scientificamente assurdo continuare a negare che ci siano differenze sostanziali anche dal punto di vista cognitivo tra le popolazioni umane. «Il QI, l’intelligenza o il numero di anni di studi sono influenzati dall’educazione? Certo che sì. E tutto ciò riflette anche delle caratteristiche cognitive e comportamentali? Quasi sicuramente. E così come tutti i caratteri influenzati dalla genetica differiscono da una popolazione all’altra (…), anche le influenze genetiche sul comportamento e le capacità cognitive variano da una popolazione all’altra», aggiunse sul Nyt.
REAZIONE SCOMPOSTA
Reich, dicendo quelle cose, sapeva di essere entrato in un campo minato, e infatti fu inondato di accuse di razzismo, vennero lanciati appelli per non farlo più parlare in nessun media e invocate le dimissioni dal suo posto di professore ad Harvard. Eppure, come sottolinea Le Point, è «difficile sospettare David Reich di razzismo. Specialista del dna antico, il ricercatore di confessione ebraica ha smontato i discorsi di purezza nazionale, dimostrando che il melting-pot genetico era cominciato molti secoli prima delle società multiculturali moderne». Si è mai placata l’ondata di polemiche contro di lui? Certo che no. Per la giornalista scientifica britannica Angela Saini, i discorsi come quello di Reich simboleggiano il ritorno in forza di una “scienza razziale”. «Sono d’accordo sul fatto che gli scienziati abbiano il diritto di studiare quello che vogliono. Ma non dimentichiamoci dei danni provocati dall’eugenetica nella storia delle scienze», ha detto la Saini, autrice del libro “Superior”, nel quale denuncia un gruppo di “realisti della razza” che graviterebbero attorno alla rivista britannica Mankind Quarterly e tenterebbero di «rendere il razzismo rispettabile». Charles Murray, noto politologo libertario americano, ha pubblicato “The Bell Curve” nel 1994: un saggio nel quale afferma, assieme allo psicologo Richard J. Herrnstein, che il QI è un indicatore molto più affidabile della situazione socio-economica dei genitori per predire i futuri ricavi di ognuno e la propensione o meno alla criminalità. Nello stesso, affrontando la questione delle differenze etniche, sostiene che gli americani di origine asiatica abbiano un QI superiore a quello dei bianchi e dei neri. «Questo libro è stato screditato. Molte persone che gli autori citavano erano dei collaboratori di Mankind Quarterly. Ma su internet, continua a essere sventolato», ha dichiarato Angela Saini.
«NON SIAMO UGUALI»
Per lo psicologo statunitense Bo Winegard, non certo tacciabile di simpatie reazionarie, la questione del QI è stata sequestrata dagli ideologi. «Sono ovviamente favorevole a un’uguaglianza morale e davanti alla legge. Ma ciò non significa che bisogna dire che tutti gli esseri umani sono identici», ha spiegato Winegard, prima di aggiungere: «Nessuno psicologo specializzato in psicometria, Nicholas Mackintosh, Nathan Brody o Earl B, contesta che ci sia uno scarto standard di QI tra i neri e i bianchi negli Stati-Uniti che si situa tra 10 e 15 punti». Tutti razzisti anche se vicini a posizione progressiste? Il sociologo britannico Noah Carl, nel dicembre 2018, si è visto ritirare una borsa di studio a Cambridge in seguito a una petizione di 500 universitari contro i suoi studi “eticamente sospetti” sulla razza e il QI. Non bastò nemmeno il sostegno di Peter Singer, il padre dell’antispecismo, intervenuto in nome della libertà accademica.