Libero, 15 settembre 2019
Alla festa dell’Unità si mangiano insetti
Se chiudi gli occhi e non ci pensi, sotto i denti si sente l’arrendevole croccantezza salata di un popcorn. Invece è una camola, cioè una larva, e neppure della varietà dalla quale sorge la falena, ma quella che dà origine a uno scarabeo. Secondo passaggio (sempre a occhi chiusi e zero pensieri): questa volta si tratta di un grillo e lo si riconosce nitidamente. Come la camola è stato abbattuto a meno venti gradi e poi sbollentato in acqua salata ma, come con il fritto di pesce azzurro, la bestiola è rimasta intera. Metterla in bocca è già più difficile. Sapore: nocciole tostate. Il terzo passaggio è quello duro: la locusta. Anche se rimpicciolita dal procedimento, uguale al precedente, che l’ha quasi essiccata, non si limita a sembrare esattamente una locusta, anche se le hanno tolto zampe e ali: la locusta ti guarda anche da cotta con lo sguardo di una locusta, cioè come se fosse lei a essere sul punto di mangiare te. Presi per fame (non si fanno più bambini ed è anche colpa loro: aborto, controllo delle nascite e sesso ludico, l’utero è mio, e adesso pure il gender fluid) per soddisfare il fabbisogno di proteine quel che resta degli ex comunisti sta cercando di virare il palato dei compagni verso gli insetti: scelta ecologica ma soprattutto schifosa e anche (ci mancherebbe) politica. Quest’anno alla festa dell’Unità di Milano è stato messo in discussione il dogma delle salamelle, sostituendole con dimostrazioni pubbliche di entomocucina ad alto nutrimento. In uno dei contesti più desolati nella storia della Festa dell’Unità (pochi banchi, un comizio così tapino che si sente la eco, un percorso per il brucomela grande quanto una pista Polistil, un calcinculo che gira abbastanza vorticosamente ma senza nessuno sopra, cinque bagni chimici), sotto uno dei tendoni, la signora Giulia Maffei, biologa e comunicatrice scientifica, e Giulia Tacchini, designer, di Entonote – associazione culturale che da cinque anni si occupa di divulgare il tema dell’entomofagia «per comunicare i valori di sostenibilità e nutrizione dell’insetto commestibile» – hanno organizzato un cooking show.
LA DIMOSTRAZIONE
Seduti sulle panche gialle ci sono una trentina di persone: vanno dal ben piantato al sovrappeso, qualcuno nell’attesa che cominci la dimostrazione beve birra e mangia patatine e salame, le poche donne che ci sono vedono sul tavolo i ciotolini con le bestie e sono le prime a manifestare un’inconsapevole espressione di pentimento. «Qualcuno di voi ha già mangiato insetti?», chiede la biologa. Alzano la mano in tre: «Io ne ho mangiati in Colombia», risponde uno; «io li ho assaggiati a una dimostrazione a Parigi, erano molto speziati», il secondo; «mia mamma ce li cucinava», dice una signorina sui trenta, «li metteva in padella, per provare». Tacchini cala l’asso: «Tutti gli altri ne hanno mangiati comunque, inconsapevolmente. Si stima che ogni persona, all’anno, mangi in media cinquecento grammi di insetti. Come quelli, per esempio, utilizzati come coloranti: nell’Aperol l’arancione è ottenuto dalla cocciniglia (l’insettino bianco che vi divora le rose, ndr): il colore viene estratto mediante la macinatura del carapace, viene chiamato acido carminico o E120».
«SONO NUTRIENTI»
Le ragioni per mangiarli? «La sostenibilità», spiega ancora Tacchini, «per produrre un chilo di manzo, per esempio, si consumano 15.500 litri d’acqua. Per produrre un chilo di grilli si usa meno di un litro d’acqua». Non solo: «Gli insetti hanno un incredibile potenziale nutrizionale: sono ricchi di proteine, di grassi buoni, ferro, calcio, vitamina B12». Mentre Tacchini racconta e tra il pubblico passa un contenitore in vetro prima con le camole, poi con i grilli, da ultimo con le locuste, Maffei cucina: l’antipasto sono piccole polpette di patate e camole, impanate nel pan grattato e fritte; seguono spaghetti aglio, olio, prezzemolo e grillo sminuzzato; il dolce è ricotta con cannella e una locusta ricoperta di cioccolato in cima. Qualcuno chiede dove si possono comprare gli insetti: in Italia non si può, è la risposta, dal 2018 è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo che consente di mettere in commercio gli alimenti costituiti da insetti. C’è bisogno quindi di un’autorizzazione europea, per la quale ci vuole circa un anno, spiegano le due socie; in Italia il ministero della Salute ha ribadito il divieto alla commercializzazione perché ai produttori manca l’autorizzazione europea. Si possono comprare su internet oppure iscriversi all’associazione Entonote per provare una cena a base di insetti (10 euro l’iscrizione, 45 la cena). Ma tornando alla locusta: non vivo in africa. Ho delle bistecche in frigo. Quando sono finite, ho il macellaio a 150 metri dalla porta di casa. Dietro di me un tizio con grossi occhiali e un cappellino con la visiera a rovescio si dichiara favorevole alla «diffusione massiccia» degli insetti da mangiare, perché limiterebbero il mercato della soia, e, fa sapere a tutti, «la soia sta distruggendo il Mato Grosso». Io vorrei che il Mato Grosso rimanesse in salute, la soia non mi piace e se uno vuole vivere a insetti credo dovrebbe essere libero di farlo. Da oggi sono consapevole che quando tutte le bistecche saranno finite, quando tutti i maiali saranno morti, quando non avrò più niente altro da mangiare, sarò capace di sopravvivere mangiando insetti. Ma solo e solamente quando mi troverò tra i sopravvissuti alla catastrofe planetaria che avrà fatto scomparire le grigliate dalla Terra.