Il Messaggero, 15 settembre 2019
David Cameron ha scritto un’autobiografia
Dopo aver acceso la miccia di un incendio che ancora non si spegne, David Cameron andò via da Downing Street canticchiando un motivetto allegro. Da allora si è fatto vedere di rado, sempre abbronzato, e i suoi tentativi di riaffacciarsi alla vita politica sono sempre stati accolti dal gelo. Inevitabile: la decisione di indire un referendum sull’Unione europea ha spaccato il paese.
E ora nel suo libro di memorie politiche, appuntamento ineludibile per ogni figura di spicco britannico, ha raccontato dei suoi «molti rimorsi» e delle sue notti in bianco, dei rancori verso i due ex sodali e traditori Michael Gove e Boris Johnson, che si comportarono «malissimo» e che lasciarono «la verità a casa» nel corso di una campagna referendaria segnata da bugie e inganni.
«Ho fallito», ha dichiarato Cameron nel suo libro, For the Record, pubblicato da HarperCollins dopo un anticipo da capogiro di 800mila sterline. «Sono profondamente dispiaciuto di aver visto il paese che amo così tanto soffrire incertezze e divisioni negli anni successivi», si legge nelle anticipazioni del libro, che uscirà il 19 settembre. Per l’ex primo ministro, che ha governato dal 2010 al 2015 insieme ai LibDem ed è stato rieletto nel 2015, i rimorsi sono legati alla tempistica e alle aspettative sui risultati della rinegoziazione del ruolo del Regno Unito nella Ue portata avanti tra fine 2015 e inizio 2016, ma su un punto non ci sono, nonostante tutto, dubbi possibili dal suo punto di vista: il referendum andava fatto.
«LA CRISI DELL’EUROZONA»
«Ritengo che, in particolare con la crisi dell’eurozona, l’organizzazione stesse cambiando davanti ai nostri occhi e la nostra posizione già precaria al suo interno stesse diventando insostenibile», si legge in For the Record, aggiungendo: «Rinegoziare la nostra posizione era il mio tentativo di risolvere il problema e sottoporre il risultato al giudizio dell’elettorato non era solo giusto e urgente, ma anche necessario e, ritengo, in ultima istanza inevitabile».
L’ex premier lo sa che c’è gente «che non lo perdonerà mai» e, cospargendosi il capo di cenere, si prende tutte le sue responsabilità, che, come ha raccontato in un’intervista al Times, gli vengono ricordate ogni giorno dalla gente. «Mi preoccupo molto», ha spiegato, rivelando di essere «enormemente depresso», anche se non al punto di aver dovuto prendere farmaci. E ammette che l’intera questione dell’uscita dalla Ue si è trasformata «in un terribile psicodramma dei tories».
Oltre allo sguardo sul passato, nel libro e nelle dichiarazioni di questi giorni c’è anche una forte, inevitabile componente di vendetta politica, in particolare nei confronti dell’attuale premier Boris Johnson, che ha criticato per le sue recenti mosse, dalla proroga del parlamento alla decisione di cacciare molti deputati non allineati in materia di Brexit fino alla noncuranza con cui sta flirtando con l’idea di un no deal, un divorzio senza accordo con l’Unione europea. Fidandosi di un Dominic Cummings che l’ex premier accusa di spargere «veleno». Ma soprattutto Cameron ha ribadito la teoria ormai ampiamente accettata che Johnson abbia deciso di sostenere la Brexit in quanto politicamente più utile per la sua carriera, lasciandosi sfuggire piccoli pettegolezzi d’antan come quello secondo cui l’ex sindaco di Londra arrivava in ritardo alle riunioni d’emergenza ai tempi dei riots, nell’estate del 2011.
EX PREMIER NELL’OMBRA
Gli ex premier non sono mai molto ascoltati nel Regno Unito, anzi, si tende a archiviarli quasi con fastidio, con la sola eccezione forse del mite John Major, che negli anni ha parlato poco e quasi sempre a proposito. Ora i tempi sono cambiati, ma il fatto che Cameron abbia ventilato l’ipotesi di un secondo referendum – «Non credo che si possa escludere perché siamo bloccati» – non è piaciuto ai commentatori, che l’hanno trovata intrusiva e foriera di ulteriore confusione in un quadro da incubo di cui lui è, nonostante le scuse e la professione di buona fede, il primo artefice.