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 2019  settembre 15 Domenica calendario

Una mostra sulla schiena nella moda

Se ci guardassimo qualche volta di più nello specchio, non per rimirare la giovinezza del viso o i cedimenti, ma per contemplare, torcendo il collo, quella prateria sconfinata che è la nostra schiena, tutto andrebbe meglio. Meglio per il nostro equilibrio, finalmente conscio degli eccessi bipolari di vanagloria e martirio, perché la schiena è l’unica parte del corpo che parla al tempo stesso di forza e fragilità, di potere e sottomissione, di seduzione e tradimento. Di questa strana ambivalenza, in una galleria di magnifiche spalle maschili e femminili tra dorsi ricurvi sotto il peso del mondo e abiti che svelano l’incipit di natiche marmoree, si fa interprete una mostra di mirabile intelligenza e bellezza, Back Side. Dos à la mode, curata da Alexandre Samson e aperta al Musée Bourdelle di Parigi, fino al 17 novembre. 
Mirabile a partire dalla sede, l’atelier di Antoine Bourdelle, che nel 90° anniversario della morte del grande scultore, assistente di Auguste Rodin e maestro di Alberto Giacometti tanto per rimanere in tema di bipolarità, accoglie cento documenti tra abiti, accessori e fotografie della collezione del Palais Galliera, ponendo accanto al torso del Centauro morente e a quello in bronzo dello stesso artista da giovane, una sfilata di robe à la francaise dalla metà del XVIII secolo ai modelli di Jean Patou, Chanel, Elsa Schiapparelli, Yves Saint Laurent, Givenchy, Thierry Mugler, Jean Paul Gauthier, Karl Lagerfeld e Alaïa.
Perché mai un vestito in seta verde della corte di Versailles, casto intorno al collo ma in caduta libera oltre l’orlo, si trova accanto all’abito nero disegnato da Guy Laroche per il film Le grand blond avec une chaussure noire, che invece si spalanca come il più generoso oblò sulla schiena e fondoschiena di Mirelle Darc? Perché tra lo strascico settecentesco e quella distesa di pelle color latte, appena attraversata da una catenella d’oro che impedisce all’abito di aprirsi, non c’è differenza: lo strascico crea un vuoto, una distanza, e isola la schiena da ogni pugnalata, così come la nudità abbaglia gli occhi e paralizza l’avversario, seducendolo. Ma prima che la danza sinuosa della spina dorsale e il chiaroscuro delle scapole potessero ipnotizzare e mettere con le spalle al muro anche il più narciso degli uomini, lo strascico ha avuto il tempo di crescere senza limiti. Immancabili le proteste e tra più accesi detrattori si distinsero Geoffrey Chauser – dove altro poteva accomodarsi il diavolo se non su quella scia peccaminosa? –Amedeo VIII di Savoia, che per primo nel 1430 cercò di regolare gli esuberi di stoffa, e infine Luigi XVI, il quale ricordava con orrore la coda di otto metri e 52 centimetri, peso 88 kg, che si era dovuto trascinare dietro la schiena come uno schiavo delle Piramidi il giorno della sua incoronazione nella cattedrale di Reims. Tra i sostenitori di quel nobile proseguo del lato B si erano invece distinti Caterina la Grande, suo il record assoluto di quattordici metri di strascico, il Papa, che poteva contare sui dodici metri della Cappa Magna, dimezzata a sei nel 1952, e Luigi XIV, estensore di una precisa graduatoria della coda posticcia, avendo noi perso da milioni di anni quella che ci spuntava in quanto animali. Alla regina, Maria Teresa d’Asburgo, spettavano 10 metri e 70 centimetri di stoffa, 7 metri alle figlie, 5 alle principesse di sangue reale, e solo tre alle duchesse, e lungo la stessa gerarchia sartoriale si disponevano coloro che avevano il privilegio di sorreggere tale fardello.

Tutto ciò scompare il 10 dicembre 1910 al Metropolitan di New York quando, durante l’intervallo della prima della Fanciulla del West di Giacomo Puccini, Rita de Acosta Lydig, nella cornice di un palco privato, fece scivolare la pelliccia dalle spalle e voltandosi al pubblico in sala rivelò la schiena nuda fino alle reni, incorniciata da un modello parigino delle Sorelle Callot. Quattro decenni dopo Cecil Beaton ricordava ancora l’emozione di quell’inedito striptease, che tra accuse di indecenza e somma volgarità venne subito copiato. Fu il de profundis del busto e l’inizio di una messa a nudo, forse grazie anche alla psicoanalisi, della parte meno conosciuta e più anonima del nostro corpo, tanto da sfuggire alle misure di schedatura criminale che eleggono il volto, il profilo e le impronte digitali a emblema della nostra individualità. Eppure a modo suo la schiena ha lasciato un’impronta indelebile sul carattere delle donne del nuovo secolo, diventando, complice il fisico asciutto, sportivo e libero di Coco Chanel, uno strumento di emancipazione in più. Forse troppo, perché a chiudere le scollature, abissi di neve candida tra ali di pizzo nero, eroticissime nelle fotografie di Edward Steichen, Horst e Jeanloup Sieff, intervengono ben presto zip e bottoni, irraggiungibili se non chiamando in aiuto mariti e amanti. Non a caso la moda occidentale è l’unica a prevedere la chiusura degli abiti femminili sul dietro, sudditanza sconosciuta al guardaroba maschile. Ma vuoi mettere, come diceva Jean Genet, il brivido di accarezzare e baciare la nuca, «punto perfetto della vulnerabilità»? Vuoi mettere la solitudine del pavone che si trascina da solo la sua futile bellezza?